ARRIVE è la sigla di A Randomized Trial of Induction Versus Expectant Management, uno studio[1] sull’induzione del parto pubblicato nel 2018 negli Stati Uniti. L’obiettivo della nuova ricerca era di valutare i benefici dell’induzione elettiva, cioè senza indicazione medica, programmata a 39 settimane nelle donne nullipare con gravidanza a basso rischio. I risultati ottenuti dai ricercatori sembrano contraddire diversi studi precedenti, che associano l’induzione a un aumentato rischio di taglio cesareo o parto operativo.
Lo studio nel dettaglio
La ricerca ARRIVE muove da una critica agli studi classici, che comparano l’induzione con il travaglio spontaneo a parità di età gestazionale, mentre nella pratica clinica l’alternativa simultanea all’induzione non è un travaglio spontaneo, ma un’assistenza attendista che conduce a un parto fisiologico o indotto in una fase più avanzata della gravidanza.
Allo studio hanno partecipato circa 6000 candidate con feto singolo e presentazione cefalica randomizzate in due gruppi. Le partorienti incluse nel primo gruppo sono state indotte a 39 settimane. Le altre hanno ricevuto un’assistenza attendista e hanno avuto la possibilità di scegliere l’induzione a 40 settimane oppure sono state indotte a 42 settimane. Lo studio non ha rilevato differenze significative tra i due gruppi negli esiti perinatali gravi, ma ha riscontrato un tasso di tagli cesarei inferiore nelle donne sottoposte a induzione programmata. Queste ultime inoltre hanno mostrato maggior soddisfazione e controllo percepito. I risultati sono stati incrociati con alcuni dati come il gruppo etnico e l’età della partoriente.
Il boom delle induzioni
L’induzione studiata dalla ricerca ARRIVE è un intervento molto diffuso nell’assistenza al parto. In Europa nel confronto internazionale le percentuali medie di parti indotti variano dal 15% al 25%, mentre negli Stati Uniti sono in aumento le induzioni elettive. Il successo di questa procedura è stato favorito da alcuni fattori. Da un lato, l’induzione può essere considerata come un “regolatore” in sala parto, perché permette di pilotare il travaglio evitando le nascite durante le visite in studio, la notte, il weekend. Dall’altro, negli ultimi anni sono aumentate le indicazioni relative alla procedura – la vicinanza del termine, la quantità non ideale di liquido amniotico, le curve di crescita del feto in flessione, la richiesta materna. L’induzione ha ripetuto un modello tecnologico diffuso: una procedura dimostrata utile in un caso specifico estende progressivamente il suo campo di applicazione fino a diventare routinaria.
L’induzione prima dello studio ARRIVE
Secondo diversi studi l’induzione rende il travaglio più doloroso, aumentando la richiesta di epidurale e il rischio di parto strumentale o di taglio cesareo. L’OMS [2] e il NICE[3]. raccomandano un uso restrittivo di questa procedura, mentre una ricerca del CHUV[4], che ha analizzato i tagli cesarei eseguiti nella propria maternità tra il 1997 e il 2011, consiglia di limitare le induzioni prive di indicazione medica per ridurre il tasso dei parti addominali. Inoltre, diversi studi sulla fisiologia del parto mostrano che il travaglio è innescato in modo spontaneo dal bambino quando i suoi polmoni sono maturi. Da questo punto di vista, l’induzione può essere vista più come un’interruzione artificiale della gravidanza che come un avvio del parto. In assenza di complicazioni, l’interruzione della gravidanza interferisce con lo sviluppo del feto e può comportare delle sequele per la salute del bambino. Per esempio, Michel Odent [5]spiega che nei casi non urgenti un taglio cesareo dopo un travaglio spontaneo è preferibile a un’induzione. Inoltre nelle donne al primo parto, che affrontano un’esperienza nuova e sconosciuta, l’induzione può avere un impatto psicologico negativo ed essere paragonata a una mano che spinge il paracadutista nel vuoto[6].
I limiti dello studio ARRIVE
Le induzioni non sono state praticate secondo un unico metodo. La ricerca non fornisce i dati sui cointerventi – epidurale, supporto continuo, presenza di una levatrice o di una doula, frequenza di un corso preparto – e sul loro influsso sul parto. Inoltre, dallo studio non è possibile ricavare il numero esatto delle partorienti indotte nel gruppo che ha ricevuto un’assistenza attendista. Infatti risulta che 2897 donne di questo gruppo hanno partorito “secondo il protocollo”, che prevedeva tre varianti, cioè un parto spontaneo, un’induzione elettiva a 40 settimane oppure un’induzione medica a 42 settimane. Dato che non tutte le donne sottoposte a un’assistenza attendista hanno avuto un travaglio spontaneo, la ricerca ARRIVE rischia di risolversi in un confronto tra induzione precoce (a 39 settimane) e tardiva (a 40 o 42 settimane). Inoltre, per ammissione degli autori stessi, è possibile che i risultati siano stati influenzati dalle aspettative dei partecipanti, perché lo studio non è stato condotto “in cieco”, cioè le donne sapevano a quale trattamento sarebbero state sottoposte. È stato anche osservato che i risultati non sono completi se non sono integrati da un follow-up, cioè una ricerca che segue le donne e i bambini dopo il parto per misurare gli esiti a lungo termine dell’induzione elettiva.
La medicalizzazione del parto fisiologico
In generale la ricerca ARRIVE si colloca nel quadro di una tendenza alla medicalizzazione dei parti fisiologici, favorita dalla cultura del rischio e dai recenti progressi tecnologici. Il presupposto da cui muove lo studio, cioè verificare l’efficacia di una procedura medica in assenza di indicazione clinica, è improntato a un modello interventista non privo di criticità. Il sottinteso della ricerca è che in una situazione di normalità i rischi della natura e del corpo femminile siano superiori a quelli della tecnologia. Negli ultimi anni invece diverse ricerche hanno messo in evidenza i rischi iatrogeni che derivano dalle procedure prive di indicazione clinica, come i tagli cesarei eseguiti per vantaggi organizzativi o economici.
Induzione per tutte?
Gli autori della ricerca ARRIVE osservano che non è chiaro se i suoi risultati potranno essere estesi. L’eventuale generalizzazione della procedura rischia di non tener conto dei diversi contesti in cui avviene il parto e delle preferenze delle partorienti, perché solo il 27% delle donne interpellate ha accettato di partecipare allo studio manifestando una disposizione positiva nei confronti della medicalizzazione. La selezione infatti è avvenuta in 41 ospedali e si è protratta per tre anni. In generale, la ricerca nell’ambito biomedico dovrebbe essere orientata sia da obiettivi di salute sia da valutazioni etiche e sociali che definiscano gli ambiti di indagine a partire dai bisogni reali della popolazione di riferimento. In particolare, la maggior soddisfazione per il parto indotto appare correlata al profilo delle donne selezionate per lo studio, che non sono rappresentative di tutte le partorienti. Dall’altro lato, è più probabile che un parto spontaneo sia vissuto in modo positivo se avviene in un contesto non medicalizzato dove la donna non è trattata come una paziente, ma riceve il supporto continuo di una levatrice esperta che l’aiuta ad attivare le proprie risorse. Rimane in ogni caso importante che il medico che propone un’induzione spieghi le alternative possibili, il metodo usato, i benefici e i rischi della procedura, in particolare cosa succede in caso di fallimento dell’induzione.
Isabella Pelizzari Villa 12/2018
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Bibliografia
[1] 1 W.A. Grobman et al., Labor induction versus expectant management in low-risk nulliparous women, N Eng J Med, 379, 6, 2018, pp. 513–523. Lo studio completo può essere scaricato da1 https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1800566
[2] WHO recommendations for induction of labour, Department of reproductive health and research, Geneva, Switzerland. Le raccomandazioni possono essere scaricate da http://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/44531/9789241501156_eng.pdf;jsessionid=31E701772BCE9 D7FAE85F08E8BAAD211?sequence=1
[3] NICE clinical guideline 70, Induction of labour, 2008. Le line-guida possono essere scaricate da
www.nhs.uk/planners/pregnancycareplanner/documents/nice_induction_of_labour.pdf
[4] Ahmad Aidar et al., Evolution du taux de césariennes dans une maternité universitaire suisse selon la classification de Robson, Rev Med Suisse, 13, 2017, pp. 1846-1851. Lo studio può essere letto sul nostro sito: Taux de césariennes Robson RevMed
[5] Michel Odent, La nascita e l’evoluzione dell’homo sapiens, edizioni Tlon, 2016, capitolo 8; Sopravviveremo alla medicina?, edizioni Pentagora, 2017, capitolo 5, p. 53.
[6] Marie-Hélène Lahaye, Accouchement: les femmes méritent mieux, Michalon, Paris 2018.