“Se vogliamo raggiungere una vera pace in questo mondo,
dovremo incominciare dai bambini.”
Mahatma Gandhi

Testimonianze

Le testimonianze di mamme e papà sono benvenute e se possibile saranno pubblicate.
L’esperienza vissuta durante il periodo perinatale e in particolare durante il parto, qualsiasi essa sia, è importante nella vita di ogni persona e può essere molto utile per altri futuri genitori. 

Era la mattina del 22 settembre 2020. La sera prima avevo deciso di fare la pizza e mangiarla a casa dei miei nonni, la stessa casa che mi ha vista diventare grande. Tutta la mia famiglia era riunita, tutti, tranne la persona che più avrei voluto avere al mio fianco, mio marito. Non gli era stato permesso di uscire dal suo paese e io mi ero ormai rassegnata all’idea di dover partorire sola, senza di lui.

Ma in fondo sola non lo ero mai stata, dentro di me c’era l’essere più grintoso che io conosca che mi dava energia e forza, ancora prima di venire al mondo.

Quella mattina mi sarei dovuta svegliare e dopo una doccia veloce andare a fare la mia tanto amata colazione al bar.

Mi sveglio relativamente tardi. Nelle settimane prima avvertivo tanta stanchezza che avevo deciso di assecondare, dormendo fino a tarda mattinata.

Vado in bagno e noto delle perdite rosse. Non mi sarei mai aspettata che il mio pre travaglio sarebbe iniziato così.

Nella mia mente ero convinta che sarebbe iniziato tutto con la rottura delle acque. Mantengo la calma, scendo le scale e vado da mia nonna: “Nonna ho delle perdite rosse, però non lo dico ancora alla mamma che è al lavoro altrimenti si preoccupa, tanto sicuramente mancano ancora tante ore”. Mia mamma era la persona che mi avrebbe accompagnata al parto. Chiamo Giulia, la mia tanto amata levatrice che sapevo bene mi avrebbe tranquillizzata. E così fu. Semplicemente dovevo tenere monitorata la situazione. Le sue parole anche durante la gravidanza mi hanno sempre rincuorata e dato tanta fiducia.

Decido di fare colazione, abbondante, decisamente abbondante. Mi concedo anche la Nutella che avevo bandito nei mesi precedenti. Probabilmente perché sarebbe stata una delle ultime volte che io e Marcos ci alimentavamo in contemporanea e ormai i kg presi erano 20 e non ci potevo fare più nulla.

Passai la giornata a casa con qualche dolore ma continuavo a fare tutto quello che avevo sempre fatto. Gironzolavo per la casa dei nonni, ascoltavo musica e in alcuni momenti mi rilassavo a letto.

Non volevo concentrarmi sull’idea del parto, per evitare di agitarmi, volevo semplicemente godermi il momento.

Verso sera sento di nuovo Giulia. Mi consiglia di mangiare leggero, di farmi una bella doccia calda e ci saremmo riaggiornate.

Nel frattempo mia mamma torna dal lavoro e mentre lei mi cucina un brodino caldo io mi preparo una salsa guacamole da accompagnare a delle verdure crude. (E menomale decisi di ascoltare il consiglio di Giulia perché la nausea che provai durante il travaglio attivo era assurda come quella del primo trimestre di gravidanza!).

Dopo cena faccio una lunga doccia calda, lavo i capelli e mentre l’acqua calda scorre, accarezzo la pancia, parlo al mio piccolo per dirgli che insieme ce l’avremmo fatta. Assieme avremmo superato tutto grandiosamente, e così fu. Lui ascoltò me e io ascoltai lui.

La mia adorata mamma mi propone di farmi un massaggio. Erano ormai le 23:00. Mentre le sere precedenti riuscivo ad abbandonarmi e rilassarmi completamente, quella sera non fu così. Le contrazioni arrivavano in modo irregolare e iniziavano ad essere più forti. Decisi comunque di andare a letto. Videochiamo mio marito. La conversazione non era spensierata come sempre, era interrotta da delle contrazioni che piano piano mi costringono ad alzarmi dal letto. Forse stanotte era la notte buona. Infondo il numero 23 mi è sempre piaciuto. Fin da bambina. Forse il mio ripetere a M. tutte le sere che io ero pronta e che aspettavo lui, quando lui se la sarebbe sentita, quando lui avrebbe scelto il giorno del suo compleanno, aveva funzionato. E lui aveva scelto.

Accendo la playlist, con le canzoni che volevo ascoltare durante il mio parto, spengo tutte le luci e accendo le candele di tutta la casa. Nel frattempo mia mamma e la mia cagnolina dormono nella stanza accanto. Cammino, cammino e cammino. Provo a sedermi sulla palla da pilates ma nulla, l’unica cosa che mi da sollievo è camminare. Mio marito mi dice che forse è il momento di contare le contrazioni. Iniziamo a contarle, erano regolari, frequenti e dolorose (minimamente se poi ripenso al dolore della fase finale del travaglio). Nel frattempo riempio la mia borraccia con dell’acqua di cocco.

Il dolore continua e sembra aumentare. All’1:30 di notte decido di chiamare Giulia.

È ancora un po’ presto, decidiamo di aspettare e di riaggiornarci tra un’oretta.

Continuo a camminare per casa, ora la luminosità del cellulare mi da fastidio e saluto mio marito dicendo che lo avrei tenuto aggiornato.

Mi sdraio sul letto e ho una visione. Probabilmente è questo il famoso stato di trans che tante donne in travaglio raccontano. Vedo M., ha circa 4 anni, mi sorride, ha il nasino all’insù e i capelli lunghi marroni.

Il dolore continua, e stare sdraiata diventa sempre di più una tortura. Decido di svegliare mia mamma. Continuo a camminare per casa e ad andare in bagno. Poi riprovo a rimettermi a letto per cercare di dormire, perché la stanchezza aumentava, ma nulla. “Mamma chiama Giulia, voglio andare in Casa Nascita”. Nel frattempo la mia cagnolina, forse preoccupata per quello che stava succedendo decide di fare pipì sul letto.

Alle 3:00 ci dirigiamo verso le DieciLune. Giulia mi chiama, vuole capire in che stato sono, fatico a parlare, il dolore è sempre più forte. Esco di casa, è notte fonda, fuori piove e con la mente cerco di stampare quelle immagini per custodirle per sempre con me.

Durante il tragitto non riuscivo a stare seduta in nessun modo. Tra una contrazione e l’altra ero ancora molto vigile, chiamo mio marito, e lo aggiorno, da li a poco saremmo diventati mamma e papà a tutti gli effetti!

Arriviamo finalmente. Il fresco di quella sera di fine settembre e la pioggerella mi fanno sentire bene. Alla porta di entrata arriva Giulia, che con il suo sorriso mi trasmette profumo di casa.

“Vuoi prendere l’ascensore?” “No faccio le scale” (ero convinta che fare le scale mi avrebbe aiutata a partorire prima, e forse in effetti ha aiutato).

Giulia mi visita. Sono dilatata di 4 cm. Solo 4 cm? Come è possibile? Tutto questo dolore e solo 4 cm? Mi scoraggio. Giulia mi tranquillizza, “Chiara stai tranquilla, non per forza vuol dire che manca tanto”. Aveva ragione. Cerco di rilassarmi il più possibile. Lascio scegliere al mio corpo e al mio bambino il da farsi. Assecondo il più possibile i suoi segnali. Cerco nuovamente di sdraiarmi sul letto, la stanchezza si faceva sentire e io volevo dormire. Tengo stretta a me la collana che mio marito mi ha regalato quando ci siamo conosciuti la prima volta. Lui era li accanto a me con il cuore e con la mente.

Mi alzo di nuovo, ok, stare a letto non mi aiuta, il dolore lo sento più forte.

Vado in bagno, voglio che mia mamma mi stia accanto. La sua presenza silenziosa e discreta mi rassicura tanto. Non parla. Ma c’è non appena ho bisogno di lei. Aveva capito perfettamente quello di cui avevo bisogno.

Nel frattempo Giulia prepara la piscina con l’acqua calda e profuma la stanza con l’olio essenziale di lavanda. Decido di mettere la playlist che avevo scelto, ma dopo le prime note, no, quella musica non mi piaceva come quando l’avevo scelta sognando il mio parto. Scelgo una melodia senza parole, solo suoni dolci e rumori della natura. Entro in acqua e mi lascio completamente andare tra una contrazione e l’altra. Rimango sola nella stanza. Mi abbandono completamente, io e il mio bambino galleggiamo dentro l’acqua calda, tra l’ossitocina e la lavanda. Ricordo quel momento come pieno di pace. Poi torna il dolore, ed inizia ad essere veramente insopportabile. Sentivo caldo, poi freddo, poi di nuovo caldo. Giulia mi visita di nuovo. Sono di circa 8 cm. Ok, manca veramente poco. Esco dall’acqua. Rimango molto tempo in bagno. Poi cammino di nuovo. Muovo il bacino, e quando la contrazione arriva è forte, prorompente, incontrollabile, mi lamento e urlo. Giulia con la voce mi accompagna nel mio lamento. Il lamento mi aiuta a concentrarmi meno sul dolore. Mi immagino M. che cerca di farsi spazio dentro di me. Chiedo a Dio di aiutarmi e di proteggerci.

Ho voglia di spingere ma è ancora troppo presto. “Chiara cerca di spingere solo quando il desiderio è talmente forte da essere incontrollabile”. Mi rivisita da dentro l’acqua. Sono di 9 cm ma un lato non è ancora pronto. Passo gli ultimi attimi del travaglio dentro l’acqua calda, mi muovo anche dentro l’acqua, ondulo il bacino, cambio posizione, poi mi alzo in piedi, poi mi immergo di nuovo in acqua. Tengo la mano di mia mamma, che ora è accanto a me. Arriva anche Maike, la seconda ostetrica. Capisco che siamo veramente alla fine. Inizio a spingere, ma ho paura. Il dolore e il bruciore che sento è lancinante. Penso a M., ancora dentro di me, che sta cercando la via per venire al mondo, tutto questo da senso al mio dolore. Quando arriva la contrazione, l’unica cosa che mi fa sentire bene è spingere. Penso di non farcela. Il dolore è incontrollabile. Spingo ma non con tutte le mie forze. Sento dentro di me la testolina di M. passare attraverso il bacino, e quando la contrazione passa, la testa torna su. Mi sento abbattuta. Sono troppo stanca fisicamente per accogliere al mondo il mio bambino come avrei voluto fare. Che non avrà un’accoglienza che si merita. Che non ce la faccio, che non riesco a farlo uscire, che ho paura perché è troppo grande. “Vedrai che lo accoglierai alla grande Chiara, perché la stanchezza passerà. Il tuo corpo è fatto per il tuo bambino, e il tuo bambino è fatto per te, stai andando benissimo Chiara. Pensa di essere su un trampolino, l’acqua lá sotto è meravigliosa e ti sta aspettando, è arrivata l’ora di tuffarti. E una volta arrivata sopra il trampolino non puoi più tornare indietro, devi metterci tutta te stessa.”

Arriva la contrazione, mi sento una leonessa piena di forze. Spingo con tutta la forza che ho. Ho un’energia che mi sembra sovrannaturale. Parlo a M., gli chiedo di aiutarmi, manca poco al nostro primo incontro.

Esce la testa, sento con la mano la testolina del mio bebè, che è ancora avvolto dal sacco amniotico.

Di questi attimi ho i ricordi offuscati, fino al momento in cui Giulia mi chiede se avrei voluto prendere in braccio io M. appena fuori dal mio ventre. E così fu. Tra l’odore di lavanda, l’acqua calda, il calore di una stanza illuminata solo da una luce arancione di una lampada di sale, accerchiato da 4 donne, viene al mondo M., la mattina del 23 settembre 2020. Lo tiro fuori dall’acqua con l’aiuto di Giulia, lo stringo a me e i nostri sguardi si incrociano per la prima volta. Io e te, piccolo mio, ce l’abbiamo fatta.

Chiara

Scrivo la mia esperienza di parto in un giorno di sole estivo quando Emma ha già compiuto i suoi primi 11 mesi di vita extra uterina.

Ripercorrere con la memoria questa esperienza è dolce, commovente, mi rende consapevole, mi rende grata per questo dono ricevuto. Mi sento privilegiata di aver potuto vivere la mia maternità in questo modo ed a 40 anni suonati, come spesso aggiungo sorridendo.
Emma Olivia è venuta alla luce il 6 luglio 2017 alle 12.39 a Casa Oasi, casa nostra.
Era una giornata di sole, una leggera brezza entrava dalle ante socchiuse del nostro soggiorno.
Lei è atterrata sul pavimento della cucina sopra un tappeto coperto da un vecchio lenzuolo accompagnata dalle mani dolci ed esperte della nostra levatrice di fiducia Anna e dal sostegno della seconda levatrice Maike.
Emma aveva uno sguardo sveglio, non piangeva, era li, nuda ed indifesa e noi inebetiti, emozionati e confusi: il viaggio del parto era terminato. Era diversa da come l’avevo immaginata, ma bella, bellissima!
Nulla era più come prima. Nulla più lo sarebbe stato, né dentro né fuori.
La decisione consapevole di partorire in casa si è avvicinata a noi con naturalezza.
Ho frequentato per quasi tutti i mesi della gravidanza la casa nascita, andavo alla ginnastica in gravidanza, partecipavo agli incontri sull’allattamento, sul portare, sul pianto del bambino e sullo svezzamento. Leggevo e studiavo ogni giorno.
Parlavo con la mia bambina, accarezzavo il pancione e rafforzavo il legame attraverso esercizi psico tattili e la musica.
La conoscenza e la pratica mi hanno resa più consapevole, più serena e sicura delle scelte oltre che in contatto con Emma.
Anche il mio compagno Daniel ha potuto entrare in confidenza con i temi riguardanti la nascita e prepararsi per fare la sua parte di papà con amorevole sostegno.
Il parto naturale è un evento fisiologico, ogni donna secondo me è in grado di affrontarlo.
Ma deve sapere come farlo.
Il parto non è solo un processo fisico, ma è un processo profondo, fisico, emotivo e mentale.
Tutte le donne dovrebbero avere la possibilità di prepararsi e di sentire la piena responsabilità a cui vengono chiamate nel diventare madri. Il parto può influenzare la vita di un individuo, come la gravidanza e tutte le cure di mamma e papà verso il proprio bambino.
Partorire in casa mi ha permesso di sentirmi libera, accolta ed a mio agio, nell’atmosfera che ho scelto per vivere, fra le mie cose, nel nostro salotto, nel nido che avevamo creato, nella nostra intimità.
Ho utilizzato tecniche di visualizzazione, ho respirato attraverso il dolore delle contrazioni, ho lasciato che mi attraversasse senza cercare di resistere, ho chiesto il massaggio alla schiena, ho trascorso due ore in travaglio dondolandomi nell’acqua della piscina montata in soggiorno mentre Daniel mi teneva la mano e mi sosteneva silenzioso.
Vedevo Anna sul divano che scriveva nella mia cartella. L’atmosfera era quieta, una leggera brezza entrava dalle finestre e mi accarezzava la testa sudata. Ho anche urlato di dolore, era il mio spazio, uno spazio sacro, silenzioso, le parole necessarie della levatrice erano pronunciate leggere ed al minimo volume per non interferire con il processo.
Il parto è un progredire interno, può diventare una meditazione profonda con il proprio corpo, non deve essere interrotto e la donna lo sa. Io sentivo di essere in uno spazio prezioso.
Sono grata per avere partorito mia figlia in questo modo.
Sono grata per essere stata accompagnata in questa esperienza cosi fondamentale per una donna.
Mi sento privilegiata per averne compreso l’importanza e ringrazio di cuore Daniel che si è affidato alle mie prime intuizioni e che poi ha concordato con me questa scelta.
Sono grata alle levatrici che hanno fondato con Amore la casa nascita a Lugano e che continuano con impegno questo meraviglioso mestiere.
Consiglio alle future madri di conoscere il proprio femminile in tutti gli aspetti, consiglio di conoscere e di non lasciare nulla al caso e di non lasciare che gli altri scelgano per loro.
Gravidanza e parto nutrono il germoglio dell’umanità.

Pamela Gianoni

Alcuni estratti dal libro di Isabella Pelizzari Villa
Volevo andare a partorire in Olanda. Storia di un taglio cesareo annunciato

Una testimonianza preziosa che racconta in tutte le sue sfaccettature il sottile meccanismo che conduce la donna a vivere come una violenza degli interventi subiti durante la gravidanza, il parto e il postparto. Interventi che la straniano dal proprio corpo e la privano della possibilità di vivere il senso di libertà, di potenza e l’emozione che potrebbe provare durante la maternità.

Il libro può essere acquistato presso le librerie “Il Segnalibro” e “Lo Stralisco” a Lugano. In alternativa è possibile ordinarne una copia scrivendo direttamente a libropartocesareo@gmail.com.

Video testimonianze di parti anche in casa nascita

Nell’ambito del progetto di incontri “Da mamma a mamma” organizzati dalla nostra associazione in collaborazione con le levatrici della Casa Maternità e Nascita lediecilune e con il sostegno dell’UFAG, sono programmati diverse volte all’anno anche alcuni incontri per uno scambio di esperienze fra genitori che hanno già partorito (in casa nascita, ma anche all’ospedale o a domicilio), e genitori in attesa che sono magari indecisi sulla scelta del luogo o vorrebbero saperne di più da chi ha già vissuto le varie esperienze.

Potete vedere qui sotto il video in cui sono raccolte alcune di queste testimonianze.

Lutto prenatale

 17.1.2017

 Carissimi Dottori,

 Vi scrivo queste due righe per potermi esprimere meglio rispetto all’esperienza vissuta pochi giorni fa in ospedale. Non vorrei che quanto sia successo rechi disagi, ma al contrario spero sia spunto di riflessione sulle necessità di alcuni genitori durante questa perdita.

Due anni fa, terminando i miei studi alla facoltà di psicologia di Losanna, ho deciso di scrivere ed approfondire un lavoro di ricerca sul lutto perinatale. Avevo già tre bambini e non avrei mai pensato che un giorno avrei io stessa vissuto questa esperienza. Questo lavoro mi ha permesso di capire più da vicino cosa accade nel cuore e nell’animo delle persone confrontate a questo dramma.
Che sia di sei settimane, di tre mesi, di sei mesi o nove mesi di gravidanza, questa perdita perinatale è molto difficile da sopportare perché nella gioia di una vita nascente si è confrontati al dramma inatteso della morte. I due estremi della vita si abbracciano lasciando un grande vuoto.
Dopo aver vissuto due volte consecutive un aborto spontaneo, vivo ancor più da vicino, in primo piano, la realtà della perdita perinatale, questa morte senza traccia che difficilmente trova un riconoscimento sociale. Vorrei poter dare un nome a questi miei bambini e poterli sentire parte integrante della nostra famiglia. Offrir loro un riconoscimento civile degno del loro valore umano. Tante volte mi domando come si fa a non considerare questi piccoli, con un’età invisibile al mondo, come i propri figli, se quando poi li si perde si sta tanto male. Ho riflettuto molto in questi giorni e credo che considerarli per quello che sono realmente facilita l’accettazione di questo lutto e di tutta questa esperienza. Razionalmente, considerarli solo un ammasso di cellule di qualche millimetro crea uno sguardo sterile su quello che realmente accade. Uno sguardo privo di sentimenti e di amore per l’essere umano e la sua origine. Credo che la difficoltà del lutto perinatale sia rinforzata da questo silenzio e da questa non riconoscenza di quello che veramente significa un embrione o un feto per una madre e un padre, ma soprattutto per ognuno di noi. Questo silenzio non dovrebbe esistere negli ospedali, nei cuori dei professionisti che lavarono e operano in questo settore. È importante validare e sostenere la sofferenza di questa perdita a chi ne presenta il bisogno ed assicurare le cure e il sostegno necessari. Questo silenzio ha bisogno di una voce soprattutto presso il personale medico che assiste sovente a questa perdita inattesa. Sicuramente non siamo tutti uguali nel modo di voler vivere il dolore della perdita perinatale. Alcuni genitori non sentono il bisogno di vivere la perdita in questo modo. Per questo il lutto perinatale è un lutto molto singolare e credo sia molto importante che il personale medico possa aprirsi ai diversi modi di voler affrontare questa situazione.
Una persona confrontata a questa esperienza non sarà più la stessa in seguito, e questo tabù sociale obbliga spesso i genitori a vivere il lutto nella solitudine. Basterebbe una presa di coscienza profonda per cambiare le cose e offrire nella semplicità uno sguardo di verità e di amore ai genitori. Perché l’amore dev’essere il primo sentimento che dovrebbe essere offerto loro. E per voi medici, l’amore per l’essere umano e la vita dev’essere la prima preoccupazione.

 

Quando 9 mesi fa ho vissuto per la prima volta un aborto spontaneo, scelsi di stare a casa per avere l’intimità di quel momento particolare ed avevo bisogno di tempo per salutare quella piccola vita che per breve ci aveva accompagnati. Questo secondo aborto mi ha lasciato senza parole perché non credevo potesse accadermi di nuovo. Per questo ho deciso di eseguire subito un controllo medico per scartare ogni dubbio. Quando le perdite sono aumentate, avevo sempre nel cuore la speranza di ritrovarlo in vita e quindi mi sono recata nuovamente in ospedale. Una volta in ospedale la situazione era chiara e tutto era concluso, purtroppo il nostro piccolo aveva già cominciato in suo viaggio. Avevo nel cuore un grande dispiacere. Questa vita che da poco ci aveva raggiunti, dovevamo lasciarla andare. È stato del tutto normale e naturale per me fare la richiesta di portare a casa quello che era stato tolto dal mio corpo. Questa richiesta, probabilmente inusuale, mi è parsa subito incompresa e mi sono sentita quasi ridicola ed in imbarazzo. Mi sono pentita immediatamente di essere andata in ospedale, di aver agito contro i miei valori e di aver accettato infine la decisione di lasciare mio figlio per delle analisi. Senza che me ne rendessi conto veramente questo accaduto mi ha distrutto il cuore e mi sembrava di non farcela a vivere pienamente il mio lutto perché mi sentivo vittima di un’ingiustizia, di un’incomprensione profonda. Il giorno seguente ho deciso che avremmo dovuto recuperare ciò che ci apparteneva. Nonostante la sofferenza di rivedere ciò che sarebbe dovuto diventare nostro figlio, il semplice fatto di riaverlo con noi mi ha colmato il cuore ed ho sentito che era la cosa giusta.
Sono certa che nulla accade per caso, e quello che ho vissuto in ospedale è stato per me molto importante perché mi ha permesso di dare un senso alla mia storia. Quello che sto facendo con voi, non lo faccio per me, perché sono sicura che onorare la vita umana sia molto importante per ognuno di noi. Questa lettera l’ho scritta per chi verrà dopo di me, per tutte le donne che entreranno nel vostro studio e che per una ragione o per un’altra perderanno il loro bambino, perché possano ricevere quello di cui hanno davvero bisogno e che voi possiate spiegare loro la possibilità di tornare a casa con ciò che gli appartiene oppure no, nel più grande rispetto e dignità.

 

Sara Caverzasio Rechsteiner

UN BEL PARTO PODALICO

Dopo la nascita della mia prima figlia, alla visita del 1° mese nello studio del pediatra, ho notato il volantino dell’Associazione Nascere Bene. L’ho letto con interesse e conservato con cura per la gravidanza successiva.
Appena ho scoperto di essere nuovamente incinta mi sono attivata per cercare una ginecologa non convenzionale poiché desideravo una gravidanza il più naturale, spensierata e tranquilla possibile, senza sottopormi mese dopo mese a visite ed esami. Purtroppo non è andata proprio così…
Per le varie analisi sono stata seguita da un medico dell’Ospedale San Giovanni di Bellinzona, il Dr. De Luca.
Come da protocollo della Casa delle nascite, circa a metà gravidanza, ho conosciuto la levatrice Anna Fossati. Procedeva tutto bene per poter partorire alla casa Lediecilune, purtroppo però a meno di un mese dal termine si è scoperto che la bimba era in posizione podalica.
Col Dr. De Luca abbiamo deciso di tentare il riavvolgimento esterno per cercare di farla girare. La cosa non mi convinceva per niente ma senza la manovra non vedevo alternative al taglio cesareo.
Mi sono sottoposta a diversi esami e il giorno seguente sarei dovuta tornare per eseguire la procedura. Il Dr. De Luca sarebbe venuto apposta per me nonostante fosse in vacanza.
Dopo un’attenta riflessione e dopo essermi consultata anche con Anna, ho deciso di annullare il tutto. Ho tentato di far girare la bambina con esercizi, agopuntura e moxa ma purtroppo senza risultati.
Sono stata informata da Anna che se la piccola non si era ancora messa in posizione non avrei potuto partorire alla Casa del parto e che per me, oltre che sostenermi e consigliarmi, non poteva più fare molto, perciò mi consigliava di parlare apertamente con il medico. Quindi così ho fatto.
Ho fissato un appuntamento con il Dr. De Luca per un’ecografia e per un consulto nel quale mi ha rivelato di aver assistito/eseguito alcuni parti podalici ma che comunque questa rimaneva l’opzione più rischiosa.
Dopo aver valutato attentamente ogni possibile rischio, anche grazie al sostegno di mio marito, abbiamo deciso di procedere così, con un parto naturale podalico.
Le condizioni per poterlo fare erano che il travaglio fosse indotto, che mi fossi sottoposta all’epidurale e che al minimo segnale di pericolo per me o per la bambina si sarebbe intervenuti con un cesareo d’urgenza. Dopo aver ottenuto le autorizzazioni necessarie, abbiamo fissato il tutto per il giorno successivo ma fortunatamente abbiamo optato per il ricovero il giorno stesso poiché sono entrata in travaglio spontaneamente dopo poche ore.
La sera del 07.01.2016 dopo pochissime contrazioni ravvicinate mi si sono rotte le acque e nel giro di un’ora e mezza Lili Rose era nata.
Anche se il percorso è stato un po’ lungo e non semplice e spensierato come desideravo e mi aspettavo, sono felice per ogni persona conosciuta e circostanza vissuta che mi hanno portata a partorire così.
Non mi resta che ringraziare di cuore tutti ma soprattutto Anna e il Dr. De Luca, i quali sono stati fondamentali per il raggiungimento del mio obiettivo, e il fantastico team dell’ospedale San Giovanni di Bellinzona per la professionalità e l’umanità dimostrata.

Sara Garbani

Quando mi sono accorta che si erano rotte le acque non ho nemmeno guardato l’ora. Di notte, con due bimbi piccoli con la tosse, tutto avrei fatto meno che privarmi di ogni singolo minuto di sonno che avrei avuto a disposizione prima di iniziare a star male. Così ho continuato ad alzarmi per andare dai bimbi ogni volta che ce n’era bisogno e ogni volta cambiavo il salva slip e constatavo che no, non era una strana impressione, il sacco era rotto e il liquido usciva, poco ma usciva. Solo quando ho visto che iniziava a esserci luce, dopo l’ennesimo giro in cameretta ho detto ad Andrea che avevo rotto il sacco. La sua reazione è stata immediata “chiamiamo Anna, copriamo il letto, prepariamo tutto!”. Ho guardato l’orologio ed erano le 4, gli ho detto che stavo bene e che era meglio dormire.
Verso le 7 si sono alzati i bimbi, abbiamo fatto colazione e ho chiamato Anna che mi ha detto che sarebbe passata per darmi un’occhiata. Mi ricordo di avere guardato fuori dalla finestra: cielo azzurro e sole, dopo due parti d’inverno, in entrambi i casi col brutto tempo, il cielo grigio e la neve, volevo che questo bimbo che sarebbe dovuto arrivare a inizio primavera nascesse col sole. La giornata mi sembrava giusta non solo per il tempo ma perché forse avremmo potuto fare quello che io avevo in mente da dopo la nascita di Sveva: un parto a casa.
Quando è nato Tommaso 3 anni fa l’idea di partorire a casa non mi aveva nemmeno sfiorata, volevo l’ospedale e la sicurezza di poter essere aiutata a sopportare il dolore e così é stato. 16 ore di travaglio, l’epidurale a metà e un bel parto. Meno di un anno dopo è nata Sveva. Quel parto mi ha sconvolto e mi ha aperto gli occhi, dalla prima contrazione a quando l’ho avuta in braccio, sono passati solo 1 ora e 25 minuti… All’ospedale ci siamo arrivati per miracolo e la bimba é nata lì solo perché io ho tenuto le gambe incrociate per un bel po’. 

È stato in quell’occasione che mi sono resa conto che avrei potuto fare tutto da sola, che per partorire bastavamo io e lei, che il dolore potevo gestirlo e viverlo senza paura e che non importava dove eravamo, ma che fossimo insieme a fare quel lavoro. Ho iniziato a informarmi sul parto a casa e a leggere testimonianze, racconti, studi in previsione di un’altra gravidanza futura. Un giorno eravamo a scegliere le piastrelle per il nuovo appartamento quando ho incontrato per caso Sandra, una delle levatrici che mi aveva seguito per il corso Pre Parto e che avevo visto in ospedale sia alla nascita di Tommaso sia a quella di Sveva, era col marito e la sua bimba di un paio di mesi nata  a casa. Abbiamo parlato per qualche minuto, le ho detto che mi sarebbe piaciuto per un futuro bebè provare questa esperienza e lei mi ha invitato a un incontro sul parto in casa allo studio delle levatrici. Sapevo ci sarebbe stata anche Nina che in occasione della nascita di Sveva mi era sembrata un’apparizione celeste in sala parto e mi faceva piacere rivederla. Anche Andrea è riuscito a raggiungere me e i bimbi verso la fine dell’incontro, probabilmente convinto che si trattasse di una mia fissa del momento, credo sia venuto più per farmi felice che per l’idea di un parto a domicilio vero e proprio.
Sei mesi dopo sono incinta, e il parto in casa diventa un’opzione concretissima! La gravidanza va bene dopo una minaccia d’aborto al secondo mese ma l’idea di partorire a casa non incontra da subito il supporto di Andrea. Diciamo che lui é la testa e io il braccio o meglio, io faccio e lui pensa. Io desidero una cosa e lui la medita. Quando gli ho detto che volevo partorire a casa si è messo a ridere e mi ha detto “sei matta!”. Per non farmi bocciare l’idea da subito lo convinco a vedere Anna, l’incontro va bene ma lui è sempre scettico e purtroppo ha validi argomenti: i bimbi sono ammalati spessissimo, io non voglio dirlo a nessuno del parto a casa ne tantomeno voglio piazzare i bimbi da nonni o amici, con questi due o tre rigidi miei vincoli, partorire in casa é un’impresa improbabile… Gestire la cosa a livello pratico è un gran casino, non posso negarlo.

Verso dicembre decido di gettare la spugna… Mi convinco che farò il travaglio a casa e il parto in ospedale… Sono triste ma penso che alla fine sia l’opzione migliore per me, per lui, per i bimbi. Continuo a rimuginarci sopra, a pensarci tra me e me e a parlare con lui, ogni occasione è buona per tornare sul discorso. Passiamo diverse sere a parlarne e alla fine decidiamo consapevoli di tutti i nostri limiti, di provarci, di picchettare le levatrici, preparare tutto, non dire niente a nessuno e sperare che Rodrigo nasca in settimana (quando il nido può aiutarci senza che intervenga qualcun altro) o la notte. I weekend sono off limits perché non avremmo appoggi e io faccio gli scongiuri perché i bimbi siano sani e non due piccole colonie virali ambulanti e… Perché no, spero che sia bel tempo.

Venerdì 28 marzo é bel tempo, il nido accoglie volentieri i bimbi anche se non sarebbe per loro un giorno di nido e io e Andrea siamo a casa tranquilli ad aspettare che succeda qualcosa. Già, perché malgrado il sacco rotto non si muove nulla. Io sto benissimo, Anna mi fa fare un bagno caldo, al buio, musica nelle orecchie, mi rilasso come non mai ma zero, Rodrigo a parte qualche vaghissima contrazioncina non si muove. Finito il bagno passiamo alla stimolazione dei punti shiatsu, ma anche in questo caso, niente. A me sembra di essere alla SPA invece che in travaglio. In effetti ridendo penso che in 9 mesi di gestazione non mi sono mai fermata, ho lavorato fino al giorno prima e l’unico modo di stare rilassata, a casa, senza bimbi é appunto….. partorire!

Sentiamo il ginecologo perché quel giorno avrei avuto l’ultimo controllo, dice che se entro sera non si muove nulla mi vuole in ospedale per l’induzione. Ecco, a quel punto sono delusissima e anche un po’ arrabbiata: giorno giusto, bimbi ok, nessun nonno in preallarme e io non solo rischio di non partorire a casa ma addirittura di farmi indurre che da sempre è uno dei miei terrori…
Per fortuna Anna e Andrea sono positivi. Tentiamo con l’olio di ricino di smuovere le cose peccato che farà effetto quando Rodrigo sarà ormai nato ma poco importa. Inizio infatti ad avere delle contrazioni sporadiche, vicine, lontane, forti, leggere. Anna che ci aveva lasciati soli per qualche ora si era raccomandata di chiamarla se fosse successo qualcosa, l’avvisiamo che qualcosa succede ma che secondo me siamo ben lontani dall’obiettivo. Lei mi rassicura, mi dice che sicuramente non andremo all’ospedale e torna da noi per visitarmi. Ci lascia verso le 14.20 perché ha il turno in ospedale, se Rodrigo non ci prende in giro sarà Nina ad intervenire.

Decido di rimettermi nella vasca da bagno per rilassarmi e non pensare, Andrea è con me, al buio parliamo a bassa voce, tutto sembra meno che io debba partorire. Poco dopo iniziano le contrazioni, quelle vere. Sono vicine da subito, forti, lunghe, intense ed efficaci. Io vorrei aspettare ma Andrea chiama Nina che in 15 minuti è con noi, non so se sia lei o i miei ormoni, fatto sta che quando la vedo arrivare nella penombra del bagno mi sembra anche questa volta una visione dolce, rassicurante e calma, magica e speciale. Le contrazioni continuano, arriva Dana che non ho mai conosciuto e con discrezione si accomoda in corridoio, la vedo e non la vedo è discreta e allo stesso tempo preziosa. Nina mi dice di fare quello che sento, che non mi visita ma dopo poche contrazioni sono io a chiederle di farlo, mi dice che manca poco e infatti inizio a sentire il piccolo che spinge e spingo con lui. Grido, grido ad ogni spinta con una voce che non so da dove arrivi ma che riconosco, grido sempre più forte e sempre più a lungo. Ho gli occhio chiusi, stringo la mano di Andrea che non si è mai mosso e spingo pensando lucidamente che dentro quella vasca da bagno, con tre persone che si occupano di me, in realtà ci siamo solo io e il piccolo. Sento la testa che esce tutta in una volta, Nina mi dice di prenderlo ma io ho gli occhi chiusi e rispondo di no, non so perché ma non voglio, un’altra spinta e nasce, me lo appoggia sul petto e apro gli occhi.
É tutto bianco, piange e poi apre gli occhi sul mondo. Aspettavo con ansia il momento in cui avrei visto quello sguardo liquido travolgermi l’anima, sono le 16.10, Rodrigo è nato.
Tre ore dopo in quella stessa vasca faranno il bagno Tommaso e Sveva. Ignari di quello che è successo, come tutte le sere io li insapono, li sciacquo e li preparo per la notte mentre il papà sistema la cucina.
È una sera come le altre eppure per me è speciale, Rodrigo è nel lettone che dorme come se fosse sempre stato qui con noi e io sono una nuova mamma, quella che avrei sempre desiderato essere.

La prima volta in vita mia che ho pianto di gioia, tanto da non riuscire in nessun modo a controllare le lacrime è stata quando è nato il mio primo figlio. Una gioia infinita. In quel momento penso di essere stato vicino alla vita come non mi era mai successo. La ginecologa invece di chiedere a mia moglie come stava mi disse: è sicuro di sentirsi bene?

Per una serie di eventi sfortunati, mentre nasceva la mia seconda figlia, io mi trovavo a pochi metri da mia moglie, ma una porta, quanto ho odiato quella porta, ci separava ed io non ho visto mia figlia nascere. Una vera sfortuna, avevo fatto di tutto le settimane prima per essere presente ma lei, mia figlia, è stata troppo veloce e per poco non arrivavamo in ospedale. Ma alla fine è andato tutto bene, anche se mia moglie in sala parto era sola con la levatrice. Parto precipitoso. Per ridere le levatrici mi consigliarono di seguire un corso perché nel caso di un terzo figlio la probabilità che un evento del genere si ripetesse, sarebbe stata alta.

Ed eccoci al numero tre. Ed ecco l’idea di mia moglie: lo facciamo in casa? Cosa ne dici? Beh dico che non mi sembra una buona idea, ecco cosa dico. Il perché è semplice: non è sicuro, troppi rischi per te e il piccolo. Poi mia moglie organizza un incontro a casa nostra con Anna, una levatrice che segue i parti in casa. Incontro positivo, ma io rimango molto dubbioso, mi sembra una cosa un po’ naif, di certo non fa per me. Mia moglie invece è sempre più’ convinta. E così smetto di pensare solo a me e cerco di analizzare la cosa in maniera razionale perché è proprio così che faccio in qualsiasi situazione. La gravidanza procede bene e anche il ginecologo ci dice che abbiamo tutti i parametri per un parto in casa. Anna continua a seguirci e inizia a nascere un rapporto di fiducia. Mia moglie è sempre più convinta e sicura. Allora mi rendo conto che, in effetti, l’ultima volta mia moglie ha partorito da sola e che quindi avrebbe potuto farlo benissimo anche in casa. Prendo coraggio, basta pensare e analizzare tutto. Mi basta ascoltare lei, mia moglie, mi basta guardarla per sentire che si può fare.

Il mio terzo figlio è nato in casa, più’ precisamente nella nostra vasca da bagno. Io sono stato a fianco di mia moglie dalla prima contrazione fino alla nascita. E non mi sono mai sentito così bene, così libero, così uomo, così vicino alla donna che amo. E ho visto da vicino quanto è forte quella donna e di cosa è capace per amore. 

In tutto questo le levatrici sono meravigliose: sempre presenti senza mai farsi sentire, senza mai rompere quella magia che si crea in casa e che ti permette di vivere a pieno ogni istante di questa nuova vita. Grazie.

Andrea

Da quando ho saputo che sarei diventata mamma, ho anche saputo che non avrei voluto partorire in ospedale. Le opzioni per me erano un parto in casa o in una casa della nascita.
Per Baptiste, il futuro papà, figlio di un’infermiera francese in carriera, la « sicurezza » dell’ospedale sembrava in quel momento essere indispensabile.
Al sesto mese circa, siamo andati a visitare la casa della nascita di Bäretswil, che avevo già in precedenza conosciuto tramite un’amica che proprio lì aveva dato alla luce il suo piccino. Ci era piaciuta tantissimo.
Il futuro papà si é detto, ma a vedere questo posto, tanto vale partorire in casa!
Stupita e sorpresa di questo netto cambio di decisione mi son messa alla ricerca di una levatrice che sarebbe venuta da noi. Poi sapevo di volere l’acqua, ma installare una di quelle vasche che si possono noleggiare sembrava difficile… così per finire ci siamo decisi per la casa della nascita di Bäretswil.

Da quel momento in poi andavamo lì per i controlli, e ogni volta ci accoglievano altre levatrici, una più in gamba dell’altra, ed ogni volta rientrando ci dicevamo che anche con quella avremmo avuto piena fiducia per partorire.
Il termine calcolato si situava tra l’8 il 17 gennaio. Se il travaglio fosse però iniziato prima, ci avrebbero comunque accolti alla casa della nascita a partire dal 23 dicembre. Uma sarebbe quindi potuta diventare un «bambino Gesù».

Il viaggio a Marseilles, giusto prima di Natale, è stato un po’ una follia, è stato bello, ma le contrazioni dovute al viaggio mi preoccupavano un po’, e mi sono accorta che non avrei per niente voluto partorire in un ospedale francese (case di nascita in Francia ce ne sono 2…) e di levatrici che vengono in casa non se ne parla affattE finalmente arriva l’8 gennaio; gli sms e le chiamate si facevano più frequenti… Le giornate passavano lente… è stata una lunga attesa. Io ero in forma, andavamo in giro ancora quasi tutte le sere, vedevamo amici, e ogni volta che si fissava un appuntamento con qualcuno bisognava dire: “però può essere che dobbiamo disdire all’ultimo momento”, e ogni sera ci dicevamo, forse è l’ultima che passiamo stare tranquilli in due? 
Andavo a camminare tutti i giorni nel bosco, almeno un‘ora, sentivo come l’utero lavorava e mi chiedevo: saranno già contrazioni? Quando sentivo perdite, mi chiedevo: sto forse perdendo le acque? No, le acque le ho poi perse solo all’ultimo momento, le levatrici non sapevano nemmeno quando esattamente…

Una domenica sera, tornando dalla passeggiata nel bosco ho detto a Baptiste: “penso che stiano cominciando le vere contrazioni”. Poi ho fatto un bel bagno e verso mezzanotte erano regolari, ogni 5 minuti, e così siamo partiti per la casa della nascita, in una nebbia fittissima!

Mi hanno controllata e poi ci hanno mandati a letto : “andate a riposarvi”, ora so perché… Non sono riuscita a chiuder occhio, le contrazioni erano diminuite un pò, ma non abbastanza per poter dormire.
Alle 8 ci hanno mandati a fare colazione, poi un bagno; cominciavo ad esser stanca, non avevo nemmeno più tanta voglia di questo tanto sospirato bagno. Dopo 10 minuti ne sono uscita e ho dormicchiato un po’ lì accanto, mentre Baptiste se l’è goduto! Per fortuna, se no avrei avuto dei sensi di colpa per lo spreco di tutta quell’acqua calda.

A pranzo sono riuscita a mangiare abbastanza bene, qualche boccone tra ogni contrazione, poi ci hanno rimandati a casa. È stata una buona idea, cambiare aria, perché è vero che ad aspettare lì, dopo un pò ci si annoia, le ore sono lunghe.

Verso sera un altro bel bagno. Baptiste aveva cucinato, davvero non sapevo più come avrei mangiato, le contrazioni erano più forti… Sentendomi meglio nell’acqua il mio bravo compagno mi ha servito la cena in bagno, e fu così che, tra una contrazione e l’altra ci siamo “goduti” la nostra ultima cena in due.

Non volevamo più partire inutilmente, così abbiamo di nuovo aspettato mezzanotte, ma poi siamo ripartiti per la casa della nascita.
Il risultato del controllo era: dilatazione a 2 cm. Per fortuna poi la dilatazione è aumentata rapidamente, ma in un primo momento abbiamo fatto i calcoli: 30 ore di contrazioni per 2 centimetri, quante ore ci volevano ancora per i prossimi 8???
Ero già sfinita, ci hanno rimandati a letto, ma di dormire se ne parla ancora meno della sera prima….
Alle 5 però hanno rimesso l’acqua in vasca e ho potuto entrare, così le contrazioni diventavano più sopportabili, la levatrice passava di tanto in tanto, se avessimo avuto bisogno sarebbe venuta subito, però per la fase di dilatazione ormai non poteva fare molto. Alle 8 c’è poi stato il cambio di levatrice, e da lì è andato tutto molto veloce,  non mi sono più resa conto delle ultime 3 ore passate fino alla nascita di Uma; ero esausta, era come correre una maratona dopo aver appena raggiunto il traguardo di quella precedente. Ma il corpo è preparato a questo e fa poi quasi tutto da solo.

Uma è poi nata a terra; l’ostetrica mi aveva proposto di uscire dall’acqua per la fase di espulsione, quando si era accorta che in acqua ero probabilmente troppo rilassata.
Aveva il cordone attorno al collo, ed è nata guardando in su (guardando le stelle, in tedesco “Sterngugkerin”). Mi hanno fatto 4 punti di sutura mentre Uma già si attaccava al seno. Era ora di pranzo, ci hanno portato il pasto a letto, dopo di che Uma è stata pesata e misurata.
Dopo questa prima visita ci siamo fatti una bella dormita, felici e contenti tutti e tre. Grati per aver potuto vivere la nascita di Uma in una casa della nascita, che ci ha garantito il completo rispetto dei nostri ritmi!

Ursina

Un cesareo non desiderato che fa ancora male

S. e V. sono nate in una notte di luna piena. Ricordo i loro occhioni spalancati e le loro testoline strofinate sul mio volto. Da quella notte non riesco più a immaginare la mia vita senza le mie figlie.

Fin dalla prima visita ginecologica, la mia gravidanza gemellare è stata considerata aprioristicamente “a rischio”. Mi sono sentita subito una sorvegliata speciale. Più controlli, più precauzioni. Dopo la prima ecografia il ginecologo mi ha informata che l’incidenza dei parti cesarei nelle gravidanze gemellari è di gran lunga superiore rispetto alle gestazioni singole. Avevo la sensazione che il mio destino fosse già segnato, ma non mi sono data per vinta. Per tutta la durata della gravidanza ho desiderato, sognato, immaginato un parto naturale.

Le contrazioni sono iniziate durante la quarantesima settimana di gestazione. Io e le mie bimbe eravamo sane. Non c’erano complicazioni. La gravidanza aveva avuto un decorso normale. Il parto naturale che avevo a lungo desiderato, sognato, immaginato stava per diventare realtà.

Il mio sogno purtroppo non si è avverato.

Due giorni prima del parto il ginecologo mi scolla le membrane senza informarmi esattamente su questa procedura. Il giorno successivo decide di ricoverarmi e di rompere artificialmente il primo sacco. Non condivido questi interventi, che considero delle interferenze nel processo fisiologico del parto, ma non mi oppongo perché non sopporto più la tensione e ho fretta di partorire. Forse il mio corpo non è ancora pronto ma ormai non si torna indietro.

In sala parto mi sento malata senza esserlo. Ho un catetere inserito nel braccio, non posso mangiare e sono attaccata a un apparecchio per il monitoraggio fetale che limita la mia libertà di movimento. Devo spogliarmi nuda per indossare un camice da paziente. Sento scemare la mia volontà e assumo un atteggiamento deferente. Il personale sanitario è molto affaccendato e non dimostra empatia. Mi sento un numero.

I controlli della dilatazione sono più dolorosi delle contrazioni. Sono invasivi e provo vergogna. Il fatto di non essere padrona della situazione mi rende ansiosa. È la prima volta che partorisco.

La dilatazione avanza lentamente. Gli sguardi del personale sanitario mi inibiscono. Il mio tempo scade dopo tre ore di contrazioni. Il mio corpo non regge il ritmo scandito dall’orologio della clinica. Mi domando quali siano i criteri per valutare la progressione del travaglio. Il ginecologo decide di somministrarmi l’ossitocina sintetica, che provoca contrazioni più frequenti e intense di quelle prodotte dall’utero spontaneamente. Richiedo la peridurale perché ho paura del dolore.

L’anestesia limita ulteriormente la mia libertà di movimento, devo rimanere sdraiata e non riesco più a sollevare le gambe. Continuo a roteare e fissare le dita dei piedi per sentirmi viva. Non avverto più alcuna sensazione dall’ombelico in giù. Sono affranta e ossessionata da un unico pensiero: come posso partorire le mie bimbe in queste condizioni? Mi arrendo e trascorro sei ore inerte sul letto. L’apparecchio indica che V. accusa i primi sintomi di sofferenza. È esposta senza la protezione del sacco alle contrazioni provocate dall’ossitocina sintetica. Forse ha capito che la sua mamma l’ha abbandonata.

È mezzanotte. Il ginecologo mi offre due alternative: prolungare il travaglio fino al mattino oppure praticare subito un cesareo. Non so con quanta consapevolezza acconsento all’operazione.

Durante i preparativi dell’intervento mi sento come la vittima di un sacrificio rituale. All’una di notte sono immobilizzata sul tavolo operatorio con le braccia «in croce», intontita dall’anestesia. Il mio corpo è come morto, non provo dolore ma riesco a percepire il bisturi che incide la mia pancia, le manovre e le pressioni per estrarre le bimbe. So che non si può più tornare indietro, che ci sono un prima e un dopo, che il mio utero e il mio addome non sono più intatti. Provo rammarico, rabbia e tristezza per il fatto di non poter partecipare attivamente alla nascita delle mie figlie. Mi sembra di tradirle. Mi sento mamma a metà. Chiedo di poter vedere le mie bimbe non appena sono estratte dalla pancia. Mi rispondono di no senza fornire spiegazioni. Ho il magone.

Quando nascono le mie bimbe stanno benone. L’indice Apgar di entrambe è di 8 su 10.

Nei giorni successivi al parto la ferita si infetta. Sono dimessa con l’infezione in corso, senza essere visitata da un medico malgrado mi lamenti che la ferita è gonfia e arrossata. Pochi attimi dopo aver varcato la soglia di casa con le mie bimbe tra le braccia – uno dei momenti più intensi ed emozionanti della mia vita – inizio a perdere sangue e pus. Un’ora dopo sono di nuovo in clinica per sottopormi al primo di una serie di dolorosi drenaggi che mi obbligano ad assentarmi quotidianamente da casa e dalle mie bimbe neonate. Il mio ginecologo è in vacanza. Sono seguita dal medico di guardia, che cambia ogni giorno. Sono molto provata e la mia soglia del dolore è bassissima. Sobbalzo sul lettino non appena mi toccano. Vivo i drenaggi come un ulteriore accanimento sulla mia pancia già martoriata. I medici di guardia sembrano non preoccuparsi né di sporcarmi con il disinfettante né di farmi male.

Per me partorire ha significato non veder nascere le mie figlie, sottopormi da sana a un intervento di chirurgia maggiore, perdere la mia integrità fisica, lasciarmi tagliare, aprire e ricucire la pancia strato per strato. L’impatto psicologico è forte. Mi sento come se avessi subito una violenza. La minimizzazione dell’operazione da parte dei miei cari e il paternalismo dei medici – «era il prezzo da pagare» – aumentano la sofferenza e mi fanno apparire il sacrificio del mio corpo come scontato. «Hai due figlie belle e sane, di cosa ti lamenti?» è la replica omertosa che ricevo quando cerco di spiegare che per me il taglio cesareo è stato una scelta dolorosa. La sofferenza psicologica di una madre durante il parto è una realtà troppo spesso negata.

Continuo a sentirmi una mamma a metà. Cerco la guarigione negli occhioni spalancati delle mie bimbe. Spero di trovarla.

Isabella

 

Il nostro progetto di creare una famiglia sta per avverarsi: sono incinta. Io e Tiziano sappiamo con certezza che il nostro bebè sarebbe nato a casa nostra, nel nostro ambiente, in un mondo creato per lui, per accoglierlo serenamente e nell’amore, per permettergli di fare in armonia l’ultimo passaggio d’incarnazione su questo nostro pianeta. Viviamo questa gravidanza come una magia nell’attesa del giorno in cui sarebbe avvenuto il miracolo della nascita.
Dopo qualche ricerca troviamo la levatrice e il ginecologo che ci accompagnano.
Con Iris, l’ostetrica, passo dei momenti intimi e profondi. Sono fiduciosa, anzi per me esiste una sola possibilità: un meraviglioso, facile e veloce parto a domicilio. Racconto a chiunque con molta fierezza e molto orgoglio il nostro progetto di nascita e non permetto a nessuno di intimorirmi con commenti e paure.
A sentire gli altri sembra che partorire sia l’evento più pericoloso nella vita di una donna, invece nella mia visione è tutto così semplice! Dal Cielo arriva questa creatura e tramite la nascita è offerta alla Terra… semplicemente naturale.


Passati i nove mesi, riesco a spostare il termine di una settimana (previsto per il 21 marzo 2008). Sappiamo che sarà una bimba e si chiamerà Silesia. Il tempo scorre oltrepassando la data prevista per il parto; ho qualche contrazione sporadica ma non succede nulla.
Attendiamo, proviamo con i vari metodi naturali per provocare, ma nulla.
Cominciano i monitoraggi, le chiamate, le domande di tutti e inizia a esserci un velo di stress che mi accompagna.

Con il ginecologo sono stata molto chiara, si attende fino a 42 settimane prima di intervenire in qualsiasi modo e continuo a parlare con Silesia, le spiego la sua grande opportunità e le do la mia disponibilità per la sua scelta.
L’ostetrica passa a trovarmi, sono passati dieci giorni dalla data presunta del parto ed ecco la prima brutta notizia; Iris ci annuncia che a questo punto non è più possibile il parto a domicilio con lei perché deve tornare al lavoro nella casa del parto dove è pianificata a tempo parziale. Razionalmente capisco, ma emotivamente sono a pezzi, mi sento abbandonata e non capisco perché la nostra bimba non vuole nascere.
Non mollo, tiro su la mia corazza e vado avanti; mi dico che andrà bene, che sarà un parto ambulatoriale, il tempo che serve per tranquillizzare tutti e poi si torna spediti a casa.

Sono di nuovo convinta e fiduciosa e giunti a 42 settimane andiamo in Clinica per la provocazione.
In macchina mi sento a disagio rispetto alla nascita forzata che sta avvenendo, ma cerco di rimanere positiva e di pensare alla gioia che proverò a breve nell’abbracciare la nostra creatura. L’ostetrica del turno di notte sostiene che qualcosa si sta smuovendo da sé e decide di chiamare il ginecologo, così è rinviata la somministrazione dell’ovulo.
Passo tutta la notte tra camminate, bagni caldi, vocalizzi ed esercizi per stimolare le contrazioni, ma non succede nulla.
Alle 6:00 di mattina mi somministrano l’ovulo. A metà mattina arriva Tiziano e ci trasferiscono in sala parto, dove mi mettono l’infusione di ossitocina e il monitoraggio fisso.
Cominciano le contrazioni, violente e senza pausa … il pensiero che finalmente conoscerò Silesia mi conforta.

La dilatazione va avanti bene arrivo a 6 cm, penso che ci siamo quasi e le contrazioni diventano sempre più forti.
Ho una bravissima ostetrica che ogni volta che vocalizzo mi sostiene.
Mi propongono l’epidurale per alleviare il mio stato di tensione, non sono molto d’accordo, ma comincio a essere sfinita e mi sembra di essere entrata in un vortice contrario ai miei desideri, alle mie aspettative e alla mia/nostra idea del parto, ma decido di affidarmi. L’ostetrica mi visita e capisco subito dalla sua faccia che le cose non vanno come dovrebbero.
La dilatazione si è fermata da qualche ora, Silesia è in posizione cefalica ma con la testa storta, tutto è fermo ormai è già tardo pomeriggio e non si può più andare avanti. Ci crolla tutto addosso, siamo esausti ed entrambi in preda al pianto.

Il tempo di sistemarmi e siamo in sala operatoria è tutto così assurdo e strano; i monitor, le persone, il freddo, l’attesa. Con l’anestesia spinale non ho la percezione del dolore ma sento tutto, ad un certo punto percepisco la mia pancia svuotarsi e la voce della nostra bambina, una sensazione incredibile.

Sono le 19:00 del 3 aprile 2008.
Me la fanno vedere avvicinandola al mio viso e Tiziano va con lei, gli raccomando di fare lui il bonding. Il tempo in sala operatoria è interminabile, ho tanto freddo e tremo.
Finalmente mi riportano in stanza, c’è mio padre ad attendermi e mi accoglie con una carezza. Tante lacrime affiorano ai miei occhi ma arriva Tiziano con la nostra bimba in braccio, la prendo, la guardo e la annuso, le offro il seno e comincia a succhiare. Mi sento felice, mi sembra che tutto ciò che è successo è stato cancellato da questo istante e m’illudo che tutto va bene.
Dopo questa prima notte comincia la parte veramente difficile.
Silesia è un bebè che piange in continuazione e il suo pianto m’invade, non mi sento accolta dal personale curante e sono stressata dalle innumerevoli visite; comincio ad essere sfinita e così, appena possibile, scappo a casa. Mi rinchiudo in me stessa, non ho più voglia di parlare con nessuno, non chiamo l’ostetrica a domicilio. Non sopporto i commenti sulla mia decisione di un parto a domicilio e sulla realtà dei fatti, ogni volta è una profonda ferita che si allarga.
Non ne posso più della frase: “L’importante è che state tutti bene”. Razionalmente sono felice che siamo entrambe sane, ma nel mio profondo di donna e di madre soffro. Sento di aver fallito nel progetto più importante e sacro della mia vita, sento di aver fallito come madre non essendo riuscita a far nascere questo bebè secondo natura, sono arrabbiata con Silesia per non aver colto l’opportunità di una nascita naturale e rispettosa.
Sono arrabbiata con tutte le donne che scelgono un cesareo, con tutte le donne che scelgono a cuor leggero di provocare la nascita dei propri figli e ce la fanno, con tutte le donne che non danno importanza alla nascita e fanno, ai miei occhi, dei bellissimi parti, con tutte le donne che scelgono l’epidurale perché non vogliono soffrire.

Passo le giornate e le notti a piangere esausta per i pianti continui di Silesia, per doverla portare tutto il tempo e per la mancanza di sonno. Non riesco neanche a pronunciare la parola “parto” e al solo pensiero che qualcuno mi chieda, mi vergogno di dover dire che Silesia è nata con un taglio cesareo.
Fortunatamente posso sfogarmi con Tiziano, con i miei genitori, con quelle due amiche vicine che mi comprendono e sono sostenuta da Daniela con la quale continuo il lavoro su di me.

Quando Silesia ha un anno, nonostante le notti perennemente insonni e le grosse difficoltà che il suo modo di essere ci creano, decidiamo di avere un altro figlio.
La “cicogna” si fa attendere anche questa volta. È luglio 2010 e la situazione con Silesia si è normalizzata, comincia a dormire un po’ meglio la notte e la vita quotidiana con lei inizia a essere vivibile, penso sia il caso di rivalutare questa nostra scelta e di non avere più figli. Fortunatamente un esserino è già nella mia pancia. Un po’ increduli ma felici cominciamo questo nuovo percorso.

È una gravidanza difficile con tante nausee, vomito, stanchezza, mal di schiena e problemi di vene varicose ma soprattutto si riapre la ferita emotiva della nascita di Silesia.
Comincio la mia ricerca determinata a ottenere il tanto desiderato e sognato parto a domicilio, ma purtroppo in Ticino con un precedente taglio cesareo non è possibile.

Il mio sogno si sgretola, svanisce.
Sono arrabbiata e triste e provo ancora quell’enorme senso d’ingiustizia.
Sono al terzo mese di gravidanza e la mia amica Elena partorisce la sua seconda figlia con un parto velocissimo. Sono al telefono con lei e mi racconta il suo vissuto e le sue parole arrivano fino in fondo al cuore, ascolto lasciandomi toccare così capisco empaticamente e finalmente che anche un parto naturale può lasciare delle ferite, può sconvolgere e può segnare in svariati modi la donna che lo vive.
Mi convinco che il parto, in qualunque modo avvenga, è un avvenimento molto profondo e complesso che trasforma la donna nel suo intimo e lascia dei cambiamenti e dei vissuti soggettivi che spesso, nella nostra società, le donne non hanno modo di metabolizzare, di trasformare e di elaborare.

Cambia il mio approccio al mio passato e durante una visita in clinica all’ostetrica rispondo d’impulso “ho partorito Silesia con un taglio cesareo”.
Le mie orecchie sentono questa frase uscita inaspettatamente dalla mia bocca, queste parole scendono fino al cuore raggiungendo la parte più intima. Un sospiro di sollievo affiora dal mio corpo e dentro tutto si rilassa.

Una nuova pace nasce dall’interno.
Al settimo mese il bebè si gira in posizione podalica. Lo sconforto e la tristezza mi assalgono ma cerco di essere positiva e fiduciosa. Il ginecologo non fa nessuna pressione rassicurandomi che fino a termine il bebè si può girare.
Provo quello che mi è possibile per aiutarlo ad assumere la posizione cefalica, m’informo sulla manovra di riavvolgimento, e valuto la possibilità di trasferirmi in un altro cantone se ci fosse un ospedale che mi permette di fare un parto di prova con un bambino podalico.
Dentro di me una voce si fa sentire, resto in contatto con il bebè che è nel mio ventre, lo ascolto e so che se sarà giusto si girerà altrimenti accetterò che sarà un altro cesareo.
Tutte le notti lo sento muoversi e roteare cercando la posizione cefalica, lo incito e gli lascio allo stesso tempo il diritto di scegliere.
Sono a trentasette settimane e 3 giorni e so che oggi devo piantare le primule e preparare la valigia. Sono tranquilla e divertita.
Durante la giornata trovo le mutande leggermente bagnate e penso di essere incontinente a causa del pancione. Qualche contrazione ma niente d’importante.
Durante la serata chiamo in clinica e mi consigliano di andare a fare una visita.
Cerchiamo i miei genitori che sono introvabili fin dopo le 22:00. Così ho tutto il tempo per farmi una lunga e rilassante doccia, prepararmi e aspettare elettrizzata l’arrivo di mia madre. Saltiamo in macchina e ci avviamo febbricitanti e curiosi per la nascita del nostro bebè.
Quando arriviamo in clinica sono ormai le 23.30, durante la visita un piccolo fiume di acqua fuoriesce ed è palese che si sono rotte le acque, un’ecografia rivela che la testa è dove normalmente dovrebbe esserci il culetto così, mi ritrovo in sala operatoria e alle 01:04 del 25 febbraio 2011 nasce Sohara.
C’è un team fantastico, abbiamo riso tutto il tempo e accolto Sohara nella gioia!
Tiziano è andato con la nostra piccola anche questa volta il bonding spetta a lui, mi spiace ma sono al contempo felice che sono insieme.

Appena in stanza eccoli arrivare, anche lei appena appoggiata su di me prende il seno e restiamo noi tre nella nostra bolla magica. La guardiamo tutta la notte sussurrando tra meraviglia e stupore. Il post parto va benissimo, Sohara è un bebè tranquillo mangia e dorme pervadendo la stanza con la sua energia. Scopriamo che aveva il cordone molto corto e molto probabilmente non riusciva a girarsi per questo motivo. Questa notizia mi rassicura e sono felice di essermi ascoltata.

Con l’arrivo della sorellina anche Silesia si è tranquillizzata ed è più serena.
Ho una ripresa super rapida e nel giro di tre giorni siamo a casa.
Nonostante ciò mi rimane quell’amaro in bocca dell’esperienza tanto desiderata e mai provata.

Nel luglio 2012 ho un ritardo del ciclo, un terzo figlio non era previsto, ma la gioia ci pervade e all’arrivo delle mestruazioni siamo entrambi delusi e tristi.
Decidiamo cosi di metterci a disposizione dell’anima che vuole arrivare da noi e a settembre sono incinta. Inizialmente non penso al parto, mi do il diritto di vivere serenamente la gravidanza, non affronto il tema con il ginecologo, non sopporterei un “no” e sono positiva.

Arriva febbraio e con esso cominciano una serie di sogni/incubi durante i quali mi ritrovo continuamente in sala operatoria sottoposta a cesareo per la nascita di questo bambino.
Prendo atto che la mia calma e la mia tranquillità sono apparenti, ma il mio inconscio è preoccupato e chiede aiuto. Faccio qualche sessione con Daniela che m’incita a contattare Anna, un’ostetrica che assiste anche parti a domicilio. Sono riluttante, ho il timore di investire in false speranze. Dopo due giorni sul giornale leggo un articolo sui parti e sul preoccupante aumento del tasso di tagli cesari in Ticino e leggo anche un’intervista ad Anna. Una coincidenza? Io credo nelle coincidenze, questo è un segnale, ma non oso contattarla, troppo forte il timore di ricevere un altro “NO”. Negli stessi giorni conosco Clarissa attiva anche come Doula, m’invita all’assemblea dell’Associazione Nascerebene Ticino, che avviene proprio in quei giorni.

Sento riattivarsi dall’interno quella scintilla, splende e pulsa, così vado all’assemblea, vivo un’emozione grandissima a essere nella stessa sala con così tante altre persone che credono nel potenziale e nell’importanza della nascita naturale. Accanto a me si siedono due splendide donne e penso che partorire assistita da loro debba essere meraviglioso. Durante la serata mi accorgo che sono Anna e Nina, una scossa mi attraversa e sono grata alla vita per questi segnali molto chiari.
Parlo con Anna e ci mettiamo in contatto cominciando così il nostro percorso, decidiamo di fare insieme il travaglio a casa e di spostarci in clinica per la fase espulsiva.

Alla visita del settimo mese mi aspettano nuove prove; il bebè si trova in posizione podalica, so che è ancora presto, ma il timore dell’esperienza passata è in agguato e il ginecologo si dimostra in totale disaccordo con la mia idea di provare un parto naturale. Le nostre opinioni si scontrano e per me è chiaro che non voglio più essere seguita da lui perché la sua modalità ed i suoi toni hanno ferito la mia parte più sacra ed intima. Così devo ripartire da zero. Sono stanca di queste continue difficoltà, ma mi riprendo e mi affido a un’altra ginecologa, la Dr.ssa Leidi a Lugano.

Scopro su face book il gruppo “Innecesareo: prevenzione cesarei inneccessari, supporto VBAC” ed il gruppo “VBAC…partorire naturalmente dopo un cesareo”, conosco così un mondo di donne italiane che si sostengono, che scambiano esperienze ed informazioni che vivono o che hanno vissuto, le stesse situazioni e le stesse emozioni. Una ricca famiglia in rete, donne che non conosco ma che sento vicine, presenti pronte a dare la propria forza ed energia a chi ne ha bisogno. Da questo momento mi accompagnano in quest’avventura.

Alla visita dell’ottavo mese sono un po’ in ansia, sia per la posizione del bebè sia per il “verdetto” che mi aspetta. Ricevo due ottime notizie, bebè in posizione cefalica e dottoressa favorevole, molto chiara e diretta. Le condizioni sono ben precise: un VBAC (Vaginal Birth After Cesarean, parto vaginale dopo cesareo) è possibile se il travaglio procede con regolarità e senza l’utilizzo di medicamenti per cui nessuna stimolazione, nessuna epidurale e nessuna garanzia di riuscita. È tutto perfetto, esattamente quello che cercavo ben cosciente che nella mia situazione ci sono dei termini ben precisi, per me l’importante è poter provare e avere accanto persone che ci credono tanto quanto me/noi.

La gravidanza procede bene, ma a termine non avviene ancora nulla, non oso neanche chiedere quanto tempo possiamo aspettare. Il sabato, a 40 sett e 5 giorni è previsto un monitoraggio in ospedale.
Cominciano le domande, i prognostici e le battute delle persone che ci stanno accanto, fortunatamente in paese la gente sa tutto e ci sostiene. Il venerdì notte mi sveglio verso la 01.30 con una contrazione più forte del solito e poi ancora e ancora, non sono forti ma regolari ogni due minuti, tra incredulità e stupore faccio una doccia e aspetto.
Alle 6:00 decido di chiamare Anna e mia madre e appena possibile partiamo, ci attendono 40 minuti di viaggio.

Siamo elettrizzati e curiosi per questa nuova esperienza che ci attende.
Arriviamo all’ospedale in concomitanza con Anna, mi visita, il collo dell’utero è accorciato pervio al dito e mi propone di fare un bagno caldo nella vasca in sala parto. La ginecologa non c’è ancora, ma sono tranquilla e serena, ha lasciato disposizioni chiare e con noi c’è Anna che mi da sicurezza e tranquillità.
Nell’acqua calda mi sento bene ed entro in uno stato meditativo e percepisco le contrazioni come delle onde, mi piace e mi lascio andare.
Tiziano è qui con me seduto sulla poltrona e legge un libro. Ognuno di noi nel proprio spazio, uno accanto all’altro viviamo questa magia.
All’improvviso la porta si apre di scatto, il rumore brusco mi riporta drasticamente alla realtà, la mia mente si riaccende in stato d’allerta … “qualcosa non va!”.
Non capisco cosa succede, ma percepisco che nel personale c’è una certa irritazione e difficoltà. Dentro di me tutto s’irrigidisce e si blocca, le contrazioni si fermano, è quasi mezzogiorno.
Passa il pomeriggio con le contrazioni che iniziano e si fermano di continuo. Sono sulle “spine” con il timore che all’improvviso la porta si apra ed entri il medico di turno con la notizia del taglio cesareo.
Mi sento stanca, demoralizzata, a tratti lo sconforto mi pervade e spuntano le lacrime della disperazione.
In serata mi  informano che, non essendoci nessuna dilatazione, non c’è nessuna fretta e mi consigliano di restare la notte per monitorare le contrazioni ed il bebè.
Mi aspettano tre giorni di pretravaglio con le contrazioni che vanno e vengono, il morale che fluttua tra speranza e rassegnazione.

Il lunedì mattina è ricoverata accanto a me una donna con taglio cesareo elettivo a 38 settimane, per sua scelta, per timore di affrontare il parto; mi prende lo sconforto. I suoi parenti esteriorizzano il loro parere sulla mia scelta e continuano a pubblicizzare il taglio cesareo come metodo veloce, sicuro e comodo per partorire. Ma riprendo forza, mi aggrappo al mio coraggio e alla mia fiducia e alla consapevolezza dell’importanza della nascita, rispondo che per me scelgo diversamente, proprio perché il cesareo l’ho vissuto due volte e non condivido la loro opinione.
Affronto la giornata parlando con il mio bebè, gli spiego che può scegliere, ma che la sua scelta potrebbe condizionare la sua vita e il suo modo di vivere. A questo punto sono pronta ad accettare qualsiasi situazione sono stanca, sono quasi arrivata al mio limite e desidero che questa nascita avvenga.

È prevista la stimolazione del collo dell’utero con il palloncino la mattina seguente, offro a noi due ancora questa possibilità.
Il lunedì sera inizia il turno per la notte la levatrice Nina: mi racconta di aver seguito con Anna un corso e hanno parlato con il formatore del mio caso, ricevendo i suggerimenti dei punti da stimolare con la Moxa. Mi chiede se voglio provare. Un po’ alla chetichella ci infiliamo in sala parto e mi pratica questa tecnica.
Sento subito beneficio, un rilassamento profondo in tutto il corpo ed un piacevole calore. Torno in stanza, parlo ancora un po’ con il bebè e provo a dormire.
Sono le 3.30. Mi sveglio con una contrazione, un po’ più forte del solito, ma non chiamo perché quasi non ci credo più e non ho nessuna voglia di fare un tracciato.
Passano 2 ore di contrazioni che cominciano ad essere dolorose ma ogni 10 min così alle 5.30 tra speranza e disperazione chiamo Nina e le chiedo di visitarmi. Ho bisogno di sapere se qualcosa sta avvenendo, di sapere se crederci ancora. Dopo la visita Nina va a controllare la mia cartella per darmi una risposta e in sua assenza una contrazione molto più forte arriva e sento che mi apre a livello pubico, poi subito un’altra ed un’altra ancora.
Al ritorno di Nina mi dice che la dilatazione è iniziata e ci trasferiamo in sala parto, sono felice.
Da questo momento perdo il contatto con la realtà, fa caldo i vestiti m’infastidiscono e così tolgo tutto rimanendo nuda. Urlo, vocalizzo, mi muovo, mi attacco affrontando ogni contrazione e nelle pause rido sono felice: questo passaggio sta avvenendo, sta nascendo il nostro bebè e presto lo potrò abbracciare, vedere ed annusare.
Ad ogni contrazione sento il mio bacino allargarsi e il bebè che scende, il dolore è fortissimo come la forza che mi attraversa. Mi sento un tutt’uno con il cielo e con la terra, il sole entra dalle finestre socchiuse, mi riscalda il cuore come la luce alla fine di un tunnel buio. La vita fuori si sta risvegliando e quella al mio interno sta nascendo, è tutto così magico ed in questo processo sono accompagnata da Nina, presenza fantastica che agisce senza parlare facendo sempre ciò che è giusto. Poi arriva Anna la accolgo ridendo, felice ed inebriata da questa meravigliosa situazione, anche lei è perfettamente in sintonia con me, con noi, preziosa presenza silenziosa e al contempo forte.
Il bebè sta scendendo, lo sento e nel frattempo arriva anche la dr.ssa Leidi.
Ora siamo tutte e tre in questa piccola stanza, ho scelto la sala parto più piccola con lettino e sedia maya, mi sento contenuta e protetta.

Mi comunicano che Tiziano è fermo in colonna per un incidente, non fa niente, sono assorbita da questa esperienza, mi sento in un mondo parallelo tutto nostro, mio e del bebè.
Devo spingere, non riesco perché il dolore è fortissimo e mi attraversa violentemente. La dr.ssa Leidi mi spiega come fare con voce calma e profonda, capisco al volo e cominciano le spinte. Brucia terribilmente e sento la testa scendere. Arriva Tiziano si mette accanto a me, mi accarezza, mi bacia sento tutta la nostra emozione e continuano le spinte. Ad un certo punto mi consigliano di respirare e fare pausa e nella frazione di un millesimo di secondo penso che se mi fermo ora non riesco più ad andare avanti. Respiro profondamente, raccolgo tutte le mie forze e spingo, spingo fino a quando sento che la magia sta avvenendo, sta uscendo la testa e vedo il nostro bebè li davanti a noi in mezzo alle mie gambe. Eccolo, mi colpisce la testa enorme, non mi sembra vero, non mi sembra possibile che sia uscito da me.

Lo prendo sul mio petto, è un bimbo, è Sael, sono le 08:50 del 18 giugno 2013.
Rido fortissimo. Non riesco a smettere di ridere e piango dalla gioia continuando a ripetere che ce l’ho fatta, ce l’abbiamo fatta.
È qui sul mio petto mentre tutti si occupano di me, non m’interessa cosa fanno sono avvolta da questa nostra magia e posso solo ridere. Ogni volta che rivivo questo momento nei miei ricordi percepisco la sensazione di fuori tempo, il vissuto di un’esperienza parallela alla vita reale. La forza che ho provato durante questo passaggio e la connessione con il cielo e la terra sono il regalo che la vita mi ha offerto.
Ora mi sento completa e serena in questo circuito che inizia dall’amore per un uomo, dal concepimento, poi passa attraverso la gravidanza e si conclude con il parto, con la nascita che, per me, è l’atto di amare la vita stessa, dando il via ad un circuito più grande ancora, la vita su questo pianeta di un nuovo essere venuto a portare la sua storia.

Benvenuto Sael!

Ringrazio me stessa, Tiziano e i nostri figli Silesia, Sohara e Sael per l’esperienza fantastica.
I miei genitori e la mia nonna per la loro presenza infinita e amorevole.
Daniela per tutto il lavoro fatto con me e per la sua vicinanza.
Manuela ed Elena per avermi ascoltata ripetutamente, per la loro onestà e per la loro presenza. Romina per aver condiviso i vissuti di due cesarei fin nel profondo. Franco che con un NO mi ha fatto crescere trovando il meglio.
Anna, Nina e la Dr.ssa Leidi perché credono che il parto naturale sia possibile anche dopo due cesarei e per avermi accompagnata in questa esperienza.
Clarissa per aver, tramite il nostro incontro, riacceso la mia scintilla.
Il gruppo di face book “VBAC … partorire naturalmente dopo un cesareo”, meravigliose donne che condividono un profondo desiderio ed il gruppo “Innecesareo: prevenzione cesarei innecessari, supporto VBAC”.
Tutte le persone che in qualsiasi modo hanno partecipato a tutto questo processo.


Ringrazio la Vita per la sua infinita generosità in tutte le esperienze che mi offre.

Fabienne

….guardo la mia piccola Shanti che dorme….incredibile…solo tre mesi fa era dentro di me…
In questi tre mesi ogni tanto, tra una poppata, un massaggio, un sonnellino, un cambio di pannolini e mille sorrisi fatti e ricevuti, come dei flash, mi si ripropongono alla mente alcune immagini legate all’evento straordinario della sua venuta al mondo.
La mattina di domenica 19 maggio, dopo un’ennesima notte quasi insonne dove forse la posizione più comoda era appesa al soffitto per le gambe!!!!…., mi alzo. Mio marito Alon è già in piedi, anche lui compartecipa all’insonnia e si mette a guardare delle cose al computer…Vado in bagno e…vedo qualche goccina rosa….CI SIAMO! Dentro di me scende la consapevolezza che sta per iniziare la fase finale del lungo, emozionante, irripetibile viaggio della gravidanza e che tra poche ore potro’ finalmente abbracciare la nostra piccola Shanti, vedere i suoi occhi e conoscere la sua anima.
Dico ad alta voce: “o- oh!”….dopo qualche secondo Alon mi dice: “metto i pantaloni?!”, vado da lui e mi sorride, con quel suo sguardo luminoso e rassicurante, ci abbracciamo forte, pronti a quello che sta per succedere, e uniti.
Quella domenica si celebra il compleanno del mio papà (futuro nonno Gennaro) e il programma prevede un pranzo al ristorante…che fare? Stare a casa o aspettare che qualcosa di più evidente si manifesti? La mia levatrice Anna so che sta riposando per la notte in ospedale e allora chiamo Nina (di riferimento per urgenze) che mi dice di andare pure a festeggiare se non sento nulla di importante e che da lì al parto ci sarebbe potuto volere ancora un po’ di tempo.
Ci vestiamo e partiamo. All’annuncio dell’imminenza del parto mia mamma (nonna Mariangela) ha quasi uno svenimento…dentro di me invece si fa strada una serenità, una tranquillità e una determinazione che raramente ho sentito…Festeggiamo il compleanno coi miei genitori e la mia nonna Gina che sta per diventare Bis nonna! Tutto è gioioso, io ho qualche doloretto ma mi faccio comunque una bella mangiata!…Nell’aria si respira qualcosa di speciale, particolare, l’attesa di qualcosa di importante che sta per accadere, un regalo grandissimo anche per il compleanno del mio papà…
Al pomeriggio torniamo a casa, mi sento un po’ stanca e poi sento che i dolori al basso ventre stanno cominciando ad aumentare di frequenza.
Alla sera mi faccio un bel bagno e mi rilasso, nel frattempo sento Anna e ci accordiamo sul da farsi. Ci sarebbe piaciuto fare una parte di travaglio a casa prima del parto che abbiamo scelto di fare in ospedale, ma la nostra ubicazione (abitiamo a Gandria sul lago, con 150 scalini in salita da fare) ci suggerito di valutare la situazione al momento e di non aspettare troppo per andare in ospedale. Rimaniamo che se succede qualcosa la notte l’avrei chiamata e lei sarebbe venuta a casa a valutare se partire subito o rimanere in casa per un po’.
Mi metto a letto ma…niente da fare…non riesco a chiudere occhio! I dolori delle contrazioni sono abbastanza regolari e, quando arrivano, comincio a praticare la respirazione sapientemente insegnatami dalla mia maestra di yoga Daniela, che fino a due giorni prima mi ha preparato con cura a questo importante appuntamento. Nel cuore della notte mi alzo a fare un bagno e doccia caldi…riesco a riposare poco.
Intorno alle 7 chiamo di nuovo Anna, le contrazioni ora sono regolari ogni 7/8 minuti, dopo la notte in ospedale la poverina viene a visitarmi (gambe in spalla: strada, gradini a scendere e a salire! Che cara…). Io sono un po’ sconvolta dalla notte ma…ho comunque appetito! Faccio una bella colazione e, arrivata Anna, valutiamo che la situazione è abbastanza avanti ma che si puo’ aspettare ancora qualche ora. Rimaniamo quindi che lei andrà a riposare un po’ e che ci si vedrà più tardi in ospedale.
Intorno alle 12 decidiamo di partire, le contrazioni sono costanti e regolari ma non ancora così forti: posso affrontare la salita a gradini fino alla macchina!!…lentamente, un gradino alla volta e aggrappata al braccio solido di Alon. È fine maggio…ma che giornata fredda!
In ospedale avendo già contrazioni regolari all’incirca ogni 5 minuti mi mandano subito in sala parto dove mi fanno le prime valutazioni del caso…Io e Alon cominciamo ad ambientarci, da casa abbiamo portato coperta, candele e la musica di Snatam Kaur …il personale dell’ospedale è gentile e accogliente.
La levatrice di turno Claudia mi fa addirittura un massaggio alla schiena per lenire il dolore e poi per aiutare il procedere delle contrazioni, intanto guardo Alon ed esclamo: “ma devo partorire o sono in un centro benessere??!”…che piacere quel massaggio…che angeli si incontrano!…
Nel tardo pomeriggio la situazione ancora non si sblocca, le contrazioni ci sono, ma non sono quelle vere!….io continuo ad ogni contrazione ad  allenare la mia respirazione e devo dire che ho una bella tenuta, anche Alon mi dice: “che brava che sei, non urli come si pensa succeda in queste circostanze!” (…aspetta a dirlo…)
Ci trasferiscono in reparto, comincio ad essere un po’ stanca della situazione…non saranno quelle vere, ma fanno comunque male queste contrazioni! Poi da così tante ore!…Mi viene un’idea, è una giusta intuizione: faccio yoga! La mia maestra ricordo che mi ha mostrato delle posizioni per incanalare il bambino. Mi alzo a fatica e vado sotto la doccia calda. Alon dorme un po’, io comincio a praticare…non è così semplice ma fare questo mi aiuta a concentrarmi e fa crescere dentro di me un senso di potere e di presenza. Dopo 10  minuti di pratica le contrazioni cominciano a intensificarsi…mi sa che Shanti, richiamata dagli stimoli dello yoga, sta iniziando la sua discesa!!!
Chiedo a Claudia di poter scendere in sala parto con la vasca e lei ci accompagna… adesso il dolore comincia ad essere intenso e travolgente…non si scherza più! Dalla mia bocca cominciano ad uscire dei suoni primordiali, lamenti che somigliano a canti primitivi…quasi non riconosco la mia voce…
Appena entro in vasca sento come uno scoppio dentro la mia pancia e una fuoriuscita di liquido caldo…ho rotto le acque! Alon va a chiamare qualcuno e appena apre la porta…ecco il mio Angelo! Arriva Anna con un tempismo perfetto!
Io sono un po’ preoccupata, la ginecologa che mi visita mi dice che sono dilatata solo 3 cm e che più o meno di solito la dilatazione avviene un cm all’ora…cosa significa, che ci vorranno 7 ore per arrivare in fondo??? non ce la posso fare!!!!….Alon chiede ad Anna e lei mi rassicura: in poche ore la bimba sarà nata!
Da qui in poi i miei ricordi cominciano ad affievolirsi…lasciando spazio solo a impressioni, sensazioni, emozioni….posso dire che quello che mi è rimasto piu’ vivido è la sensazione di essere travolta da una potenza sovraumana che ha piegato inesorabilmente e senza condizioni il mio volere e verso la quale non ho potuto che arrendermi completamente. Il dolore prima, intenso, acuto, ritmico, profondo…le mie urla che uscivano senza poterle trattenere (e meno male che non avevo urlato finora!!!) ad accompagnare le lunghe ondate che riempivano il mio ventre e ogni cellula del mio corpo. Poi le spinte così prorompenti, che mi facevano aggrappare con tutta la mia forza a un lenzuolo che, grazie a Dio, le levatrici mi avevano proposto per aiutarmi…..Solo immagini come istantanee scollegate le une dalle altre: la dolcezza della voce di Anna che mi dice: “Dai Elisa sei bravissima adesso esce, ancora un pochino!” e la sua calma rassicurante; la premura del mio Alon che cercava in tutti i modi di farmi stare comoda, che mi sussurrava dolci parole incoraggianti nell’orecchio e che mi teneva le braccia unendo la sua forza alla mia; il silenzioso rispetto delle persone presenti: la levatrice Claudia e la mia Ginecologa che mi seguono e assecondano nella ricerca della posizione che sento più comoda ….alla fine mi metto in piedi e mi appoggio al letto…Non so quante spinte, forse 5 o 6, la sua testina si sente e si vede ma è furbetta: scende un po’ e poi ritorna su…e poi…
la spinta finale!
Come un piccolo pesciolino a cui viene restituita la libertà, la mia piccola Shanti sguscia fuori dal mio ventre, dimora calda e sicura per nove lunghi mesi… Sento un lago sotto di me e mi accascio a terra, sento la ginecolga che  dice che il cordone è corto quindi di rimanere per terra….così, entrambe, prive di qualsiasi cosa, ci troviamo sdraiate a terra, completamente nude e totalmente travolte dall’energia della natura. È avvenuto IL NOSTRO PRIMO INCONTRO.
Sensazioni…odori…il peso del suo piccolo corpo sul mio, la scivolosità della sua pelle, il calore emanato dal suo corpo…il sollievo del dolore scomparso, l’ebbrezza della fine di un’esperienza totalizzante…
Me la ritrovo lì sul mio seno, lei piange un pochino poi si guarda intorno e si mette subito il dito in bocca….Alon vuole immortalare questo momento con una foto…
Nascita di una figlia, nascita di una madre.

Elisa, direttice di asilo-nido

Scrivo questa testimonianza non solo perché mi sembra degna di essere raccontata, ma anche perché spero aiutare così di aiutare e dare coraggio alle future mamme.

Quando sono rimasta in attesa ero felicissima ed ho subito cercato mille informazioni per avere il meglio, come credo sia, per tutte le mamme. Grazie alla forte amicizia che ho con due miei compagni di fede, Joni e Adolfo, che sempre mi sostengono, essendo oltre che fratelli spirituali anche ispiratori di buon senso, mi lessi il libro Lotus Birth che sposava in pieno le mie convinzioni nascoste, come se avessi sempre saputo che era così, mi dava una carica fortissima per intraprendere un cammino non facile. Mio marito non fu subito felice del libro e delle mie intenzioni, ma per fortuna è una persona aperta e curiosa così mi lasciò carta bianca al principio, convinto che non avrei trovato terreno fertile per quest’idea pazza, del resto abitiamo nell’Italia del Sud. Man mano che la mia gravidanza avanzava il suo appoggio e la sua opinione si dimostrarono molto opposte alle mie. Andammo anche a vedere una struttura ospedaliera, per quanto fosse ben arredata, il senso di medicalizzazione e poca cura per la persona erano tangibili, lì si sfornavano pacchi e altrove era anche molto peggio. Ho sempre dovuto lottare molto nella mia vita, la ricerca per essere felici è così. Dalla mia scelta religiosa, pratico il buddismo di Nichiren Daishonin, alla mia scelta alimentare, sono vegana tendente al crudismo, ho etichette della strana o della pazza a seconda delle circostanze. Dal mio ginecologo la mia alimentazione non è stata accolta bene, ma ha rispettato la mia scelta visto e considerato che le mie analisi e tutti i miei valori sono sempre stati ottimali, persino il ferro negli ultimi mesi si è abbassato, come è fisiologico che sia, ma mai sceso sotto la soglia dei parametri indicati come pericolosi. Ho sempre preso tutto dalla frutta e dalle verdure. Ho rifiutato anche acido folico e integratori, insomma la mia gravidanza che è stata una vera e propria passeggiata, niente nausee niente capogiri niente acidità di stomaco, è diventata un’altra bella dimostrazione di come si possa esser felici senza interventi eccessivi e medicalizzati. Per non dover affrontare tutti, quindi, nascosi a tutti le mie vere intenzioni sul parto in casa. Non dicemmo a nessuno nemmeno alle mamme o sorelle che se avessi trovato l’ostetrica in Puglia avrei praticato il Lotus Birth in pieno e cioè che non solo avrei partorito mio figlio a casa in intimità, ma non gli avrei tagliato il cordone ombelicale avrei aspettato che si staccassero da soli l’uno dall’altra. Motivo questo di ansie, soprattutto verso la fine della gravidanza dove tutti, ma proprio tutti, (forse perché non sanno di cosa conversare con una gravida :-D), iniziano a chiederti “dove vai a partorire?”, “hai preparato la borsa?” “hai dato a tua madre il carrozzino così te lo prepara per l’ospedale?”, cose che non solo non esistevano per me, ma non erano proprio contemplate.
Iniziai a cercare, sempre con più ansia, il tempo stringeva, un’ostetrica che fosse disponibile a seguirmi in questa grande pazzia, dopo tante ricerche e e-mail anche a nord Italia, ricevetti un contatto telefonico di un’altra donna ‘pazza’ che come me aveva partorito in casa, lei addirittura dopo aver avuto un primo figlio con parto cesareo! Finalmente arrivo a sentire la voce vera di un’ostetrica che accompagna le puerpere in questo sogno del parto in casa! Rosaria Santoro di Grottaglie! 
Non finirò mai di ringraziarla e soprattutto di aver sposato una missione che con mia meraviglia sta arrivando sempre a più persone. Una volta trovata l’ostetrica con mio marito Bartolo dovemmo chiarire definitivamente le posizioni, il figlio è di entrambi ed io non potevo decidere ostinatamente da sola. Ci sono stati episodi in cui mi son sentita molto sola, percepivo che per lui forte era la fiducia negli ospedali e nel parto classico, per quanto vedesse e sentisse gli altri racconti di parti naturali integrali, cedeva nell’intimo alle sue paure. Meno male che avevo i miei amici, infatti nella mia visualizzazione del grande evento sognavo ripetutamente la loro presenza e sostegno, infatti il mio invito a loro era l’unico che avessi fatto per tutti era divieto. Con Bartolo infine giungemmo ad un patto se il corso pre-parto con Rosaria, lo avesse convinto mi avrebbe appoggiato ma se anche solo un valore delle analisi del sangue o della pressione fossero risultati strani, lui sarebbe intervenuto portandomi all’ospedale. Durante il corso per fortuna ha maturato una possibilità diversa, ma la sua paura l’ha conservata fino all’ultimo, ma più per amore di non poter salvare me o il bambino, che per la procedura che consiste nel non fare NIENTE, ma come abbiamo imparato l’imprevisto può esserci sia che si vada in ospedale sia che si vada in un altro posto. Fu soprattutto il vedere dei video sulla rete di papà che hanno accompagnato le loro mogli nella scelta del parto a convincerlo a maturare fiducia nella donna/futura madre.
All’ultimo mese Bartolo sentì di voler mettere al corrente tutti della nostra scelta, io ero contraria e questo fu un altro motivo di malessere per me, ma dovetti riflettere come da mesi suggeriva Joni, che non potevo mancare di coraggio se nelle cose ci credo dovevo portarle alla luce come per la pratica buddista o per l’alimentazione. Sentivo nel profondo che mia madre non mi avrebbe ostacolato infatti per lei l’ostetrica era più che sufficiente, mi diede occasione di scoprire come fossero stati tutti e tre i suoi parti e il motivo del nostro legame così forte. La madre di mio marito invece fu orrenda, catastrofica e contraria mi disse che ero incosciente e che dovevo ripensarci, provò persino a contattare mia madre che invece le rispose che io non ero una stupida che sapevo ciò che facevo e che poi c’era l’ostetrica. Insomma una volta informati ribadimmo anche che non sarebbero potuti venire a casa subito che avevamo bisogno di intimità fino al distacco del cordone……unica cosa rimasta una utopia!
Finivo i mesi il 17 dicembre e da ospedale avrei dovuto partorire il 22 dicembre, ma dopo l’ultimo incontro agli 8 mesi con il mio ginecologo che si è occupato solo delle analisi necessarie e da routine, per tutto il resto si occupò Rosaria, mi visitava e controllava i miei valori tutti ottimali quindi c’era solo da aspettare il momento in cui io e Simone ci saremmo sentiti pronti.
Viste le mie ottime condizioni non avevo di che preoccuparmi, anzi nelle ultime settimane mi concedevo anche strappi di golosità!
Il 22 dicembre passò come pure il 24 e il 25, così iniziano gli allarmismi di parenti e affini, solo io e mio marito eravamo sereni, io sentivo che mi fidavo del mio corpo e del mio bambino e non era ancora arrivato il momento giusto, poi ricordavo la data del suo concepimento, quindi per me era tranquillo ci voleva ancora qualche giorno. Il giorno 26 dicembre Rosaria mi inviò un messaggio proprio mentre io la stavo per chiamare desideravamo entrambe incontrarci e sentire un po’ di valori, era tutto ok. Rosaria venne con la mia doula Monica Urselli, che resterà sempre parte di me visto che nell’esperienza del parto si è unita ai miei vocalizzi portandoci ad unire le nostre vite per interminabili momenti magici a cui seguirono poi la vista di Simone.
La sera di Santo Stefano, Rosaria e Monica andarono via dicendomi che c’era tempo, in realtà era solo per non mettermi in ansia visto che in realtà ero pronta anzi eravamo pronti. Infatti la notte non dormii bene sonnecchiavo e sentivo i primi dolorini, la mattina presto del 27 dicembre avvisai Rosaria le dissi di fare colazione e di venire con calma, sapevo che ci voleva tempo ed io ero troppo eccitata e curiosa perché stavo per vivere finalmente un’esperienza senza ritorno e inviai anche un sms ai miei amici (questo mai arrivato! Adolfo mi rispose “mettiti su Skype”, pensai che non avesse capito visto che io stavo entrando nel mio stato beato di onde). Arrivarono dopo un’ora Rosaria e Monica, io ero ancora a letto con mio marito che era tutto eccitato e ansioso per il grande ruolo che gli toccava quel giorno. Accoglievo le contrazioni come onde del mare e le lasciavo refluire con un grande sospiro pronunciando la mitica vocale A, il tutto sempre appoggiandomi o al muro o sul tavolo o su mio marito o su Monica o su Rosaria, la casa l’ho girata tutta e mi sono messa sempre dove ho voluto. Ho ricevuto massaggi alla schiena alle gambe ovunque ne avessi bisogno, ero la regina quel giorno ed ogni mio bisogno era desiderio da realizzare, mi sentivo bene e felice, ero a casa mia con mio marito e solo due persone per l’assistenza. Dalla mattina fino a pranzo mio marito produceva spremute d’arancia era l’unica cosa che volevo. All’ora di pranzo ci è venuta fame così vai allo sfizio di focaccia che mordevo fra una contrazione e l’altra, poi è arrivato il momento delle risate, ho un marito molto burlone quindi è stato facile, e con le risate altre contrazioni. E’ stata la conferma che con Bartolo, mio marito, avremmo vissuto un’esperienza meravigliosa, lo sentivo vicino e partecipativo, anche se ogni tanto aveva bisogno di andare a fumare per scaricare la tensione.
Nel primo pomeriggio ho desiderato entrare in vasca da bagno dove ho raggiunto la dilatazione quasi completa, anche in acqua Rosaria controllava ad ogni contrazione il battito del mio bambino stavamo sempre bene e Simone dava prova di partecipare al parto attivamente. Erano le 18 e la membrana della mia placenta resisteva, inizialmente non ho voluto che fosse rotta forzatamente, ma le contrazioni erano forti e nonostante ciò resisteva così sempre; grazie alle attenzioni di Rosaria, decisi di farla rompere. Subito dopo sono uscita dalla vasca, l’acqua era ormai tiepida e non valeva più la pena; nella stanzetta dove risiede anche il mio oggetto di culto il Gohonzon, i dolori erano meno piacevoli di quelli della giornata, così Rosaria mi sfotteva canzonatoria “facciamo l’epidurale? Andiamo in ospedale?” nonostante il torpore e la dimensione in cui mi trovavo rispondevo secca ”No!”. Poi sono arrivate le ultime contrazioni quelle espulsive: appoggiata a Monica e Bartolo in posizione di lottatore di sumo sentivo che Simone scendeva, le prime due le bloccai, non era il momento, la discesa è stato il momento in cui la mia mente dette spazio all’adrenalina, dopo tutto quello stato di trance cominciato la mattina in cui veglia e dolore/eccitazione l’avevano fatta da padrone, in quei momenti fu tutto più nitido e per un istante ebbi paura del dolore finale, ma lì ricordai che era proprio la fine (quanto più buia è la notte più vicina è l’alba, Nam Myo Ho Renge Kyo), ce l’avevo fatta, Rosaria invitava Bartolo a vedere la testa del bambino mi bruciava perché ormai Simone che si era dato da fare aveva incoronato e ritornò la fiducia…..eccolo piccolo, determinato e forte sul mio petto un ometto che mi ha rapito il cuore, nudi entrambi lo avevo sul mio petto come un esploratore su una montagna, cercava avidamente il mio seno ma io ero troppo commossa e subito impegnata a spingere fuori la placenta, così lui con le sue manine a ventosa una volta trovato il mio capezzolo lo mise in bocca ed iniziò a ciucciare. Siamo rimasti così per tanto tempo, quasi mezz’ora credo con il neo papà in totale confusione, ci teneva abbracciati. Ripreso il controllo pieno di me potei constatare che non mi ero lacerata di un millimetro e che tutto il mio corpo iniziava una nuova fase, quella dell’allattamento. Abbiamo tenuto Simone e il suo gemello (la placenta) in un catino attaccati, al 7 giorno alle 2 di notte poi l’ha lasciata andare. E’ stato più semplice gestirli di quello che immaginavo, tanto sale e anche la placenta entrava con noi nel lettone vicino al suo corpicino, attenderò che arrivino le belle giornate e poi le daremo sepoltura.
La sorpresa vera è stato scoprire che mia madre, con mia sorella e mio cognato, si erano messi dietro la porta di casa dalle 19.30 per cui hanno origliato alle 20.02 il primo vagito di Simone e poi, col permesso di Rosaria, si sono affacciati e ci hanno visti, per quanto avessi detto di non venire, la vista di mia madre mi fece molto piacere perché durante il travaglio mi sono sorpresa a sentire nel mio cuore la vocina “voglio mamma”. Sono stati davvero un secondo poi sono andati via. Gli altri parenti per poco tempo, ma son venuti quasi tutti il giorno dopo. Joni e Adolfo sono venuti a casa e loro si sono occupati di me per quasi una settimana, gli ho concesso giusto il capodanno libero! Scherzo, in realtà mi hanno accudita come solo una famiglia può fare, poi sono gli unici, essendo anche loro vegan crudisti, a saper dove mettere mani e cosa preparare.
Simone nato di tre kg e 500 gr, a soli due mesi pesava già 6 kg, grazie solo al latte di mamma, è un bambino sereno e sano, un amore unico!
Rivivrei il parto anche domani, e credo che non si possa parlare di dolori nel senso negativo del termine per descrivere le contrazioni, sono state più simili al piacere spinto che si può provare quando si gode durante un rapporto sessuale, ovviamente se vengono vissute nel giusto contesto con una mente spenta guidata solo dai sensi e dalla presenza di chi ti è vicino (per questo importantissimo il loro stato vitale/condizione emotiva). Mi sono ripresa il parto come è giusto che sia cioè un’esperienza primordiale della donna, senza luci e temperature fredde di sale che puzzano di medicinali e disinfettanti, e senza medici e personale medico che ti costringono a posizioni innaturali infondendoti paure e ansie non opportune. Grazie a questa esperienza Bartolo compensa la gelosia per la parte dell’allattamento, si sente molto più dentro al legame con Simone. Se dovessi avere un altro figlio partiremmo col vantaggio di molta più fiducia in noi, di sicuro però cercherò di farlo nascere con i primi tepori perché mi piacerebbe camminare all’aperto durante il travaglio e non sentire freddo se voglio entrare in vasca! Sulla presenza, mi piacerebbe avere sempre mio marito e poi mia madre…ma sarei molto più rigida nel non accettare altre visite per la placenta, il bambino non è da spostare dal letto e per far questo bisogna essere sempre davvero solo mamma, papà e lettone alla presenza del bambino.
Ringrazio ancora Rosaria e Monica, e a tutti, mamme e papà, consiglio quest’esperienza, si diventa davvero una famiglia.

Mariella Martiradonna

E’ Natale. Il pranzo è previsto a casa di mia mamma, una cosa semplice – si fa per dire – visto che non sappiamo bene se dovremo scappare in ospedale… Il pancione è ingombrante, ormai mancano solo due giorni al termine, e anche mangiare è diventato un po’ faticoso. Tieni tutto lo spazio disponibile! Sto bene e attendo il momento fatidico con grande impazienza. Sento che ci siamo, sento che nascerai domani.

Il pomeriggio procede senza imprevisti, poi verso le quattro inizio davvero ad essere stanca, così rientriamo a casa. E’ alle sette che inizia a muoversi qualcosa… Una contrazione! Dopo un’oretta ne arriva un’altra, poi una leggera dopo 40 minuti… Qualcosa evidentemente si muove. Non abbiamo cenato: il pranzo di Natale ci ha saziato a sufficienza. Verso le 22.00 propongo a Andrea di andare a letto. Sono sicura che non dormiremo molto, ormai lo so, nascerai domani. Andrea però non ha voglia di andare a letto, così restiamo tranquilli a guardare la TV. Le contrazioni sembrano essersi arrestate. E’ quasi mezzanotte quando andiamo finalmente a dormire. A lui, come sempre, bastano pochi minuti per addormentarsi. Io, invece, sono pensierosa e un po’ agitata: domani sarò mamma!

E’ esattamente mezzanotte e quattro minuti quando arriva, all’improvviso, una contrazione più forte delle altre. E dopo 12 minuti un’altra e poi un’altra ancora… Guardo la radiosveglia per cronometrare. Dopo tre contrazioni decido di alzarmi. Sdraiata non mi sento a mio agio, fa male. Vado in sala e riguardo i libri sulla gravidanza e il parto. Mi rinfresco la memoria su come gestire le contrazioni, che ormai sono piuttosto regolari. Poi accendo la TV: la notte di Natale è davvero un disastro! Trovo Fantozzi e ne guardo un pezzo, ma io lo odio.

E’ ora di provare a fare il bagno. Dicono che se non è il momento le contrazioni passano. Non ne ho voglia, sono quasi le due di notte e non mi va di entrare in acqua. Penso anche al vicino di casa, ha la stanza proprio sotto il nostro bagno. Sentirà scorrere l’acqua. Gli darò fastidio? Nella vasca, le contrazioni non passano e non riesco a gestire il dolore, è scomodo. Mi asciugo e decido di buttarmi a letto. Vorrei riposare un po’, ma niente da fare… Quasi subito una forte contrazione mi fa sobbalzare. Mi siedo nel letto e butto in aria il piumone. Andrea si sveglia di soprassalto: “Cos’è successo? Quando è iniziato? Devi chiamare l’ospedale!!!”

Chiamo in ospedale e mi risponde un’ostetrica. Mi consiglia di fare un altro bagno e di restare a casa finché mi sento tranquilla. Io un altro bagno però non lo faccio. Non ho voglia e poi so già che le contrazioni non passeranno. Ne sono certa, nascerai oggi, il 26 dicembre.

Andrea si alza e mi chiede se ha tempo di farsi una doccia. Gli dico di prepararsi con calma, c’è tempo. Sono più o meno le cinque quando decidiamo di andare in ospedale. So che è ancora presto, le contrazioni sono solo ogni 10 minuti, ma voglio sapere se qualcosa si sta muovendo. Camminando verso la macchina ho un’altra contrazione e mi accascio a terra. Ho anche un po’ di nausea. Per fortuna il Civico è vicino. Parcheggiamo alle 5.21.

Il pronto soccorso ci dirotta subito al secondo piano dove troviamo l’ostetrica con cui ho parlato al telefono. Scendiamo al primo piano, dove ci sono le sale parto. Il monitoraggio mostra che effettivamente le contrazioni ci sono, anche se non sono ancora proprio regolari. Il tuo cuoricino batte forte. Sono dilatata di un solo centimetro. L’ostetrica chiama la dottoressa, dice che sarà lei a decidere se ricoverarmi o se mandarmi a casa. Ci vorranno ancora diverse ore… L’ecografia, tra una contrazione e l’altra, conferma che ho poco liquido amniotico e la giovane dottoressa decide che è meglio ricoverarmi. Per fortuna, non me la sarei sentita di tornare a casa. Il tuo peso è stimato 2.800 – 2.900 kg. Andrea chiede quanto sarà lungo il travaglio e la risposta è sempre la stessa: per un primo figlio si calcola un centimetro di dilatazione ogni ora. Sono le sei di mattina.

Nessuno sa che siamo in ospedale. Eravamo d’accordo di avvisare i nonni. Penso che li chiameremo verso le nove.

Andrea va a fare le famose etichette, mentre io vengo portata al secondo piano, camera 9. Nel letto di fronte a me c’è una mamma con il suo bebè, un maschietto nato il 24 dicembre. Stanno dormendo. Poco dopo le sette portano la colazione. Bene, io ho una gran fame. Mangio un pezzetto di pane, ma arriva una forte contrazione. Non mangio più, non ho più tregua. Fa male, e l’unico modo per stare meglio è stare inginocchiata a terra appoggiata al letto. Andrea mi massaggia la schiena, la pressione sui reni mi aiuta moltissimo. Non ha più tregua nemmeno lui. Saranno circa le sette e mezza quando si rompono le acque. Chiamiamo l’ostetrica. Il liquido è perfetto, limpido e chiaro. Mi dice di richiamarla quando le contrazioni saranno più forti o più ravvicinate. Non posso credere che diventeranno ancora peggio!

Torno al mio letto, ma passano solo pochi minuti e le fitte diventano davvero fortissime, mi viene da piangere. Controllare la respirazione non è facile. Dopo forse dieci minuti chiedo ad Andrea di richiamare. Penseranno che sono una sega, ma a me sembra di non poter più sopportare oltre. Voglio essere visitata, ho bisogno di sapere a che punto sono. Arriva un’altra ostetrica.

“Vuoi farlo qui sul letto?” mi chiede. Non ricordo cosa le ho risposto, so solo che lei ha continuato così:” No, non sto scherzando. Sei completamente dilatata, scendiamo in sala parto: sta per nascere.” Mi hanno portata direttamente col letto e il tragitto mi è parso lunghissimo. Ero disorientata e concentrata sulle contrazioni, difficili da sopportare in quella posizione. Sentivo già l’impulso a spingere, ma l’ostetrica mi diceva di non farlo. Una sensazione bruttissima!

“Cielo o acqua?”

“Cielo”

Eccoci fermi davanti alla sala parto “cielo”, tutta azzurra. Mi piace l’azzurro, da mesi lo ritengo il colore del mio parto. Oltretutto per l’acqua non c’è tempo così come non c’è tempo per pensare alla musica o alle altre piccole cose che avevo preparato per il parto. Mi trasferisco sul letto del parto e chiedo subito di sollevare lo schienale. Sono praticamente seduta. Non mi rendo conto di quanto succede intorno a me, Andrea mi ha poi raccontato che l’ostetrica e la dottoressa hanno preparato tutto con gran rapidità: il telo, gli strumenti, i guanti. Evidentemente non c’è tempo da perdere: è ora di spingere. Recupero tutte le forze, stringo forte le maniglie incorporate al letto e comincio a spingere… Sento già la testolina che è anche già visibile. Ci piacciono i bebé con pochi capelli, Andrea mi sussurra di chiedere se hai tanti capelli. Ne hai un po’, non tantissimi. Chiedo di poter toccare la tua testolina. E’ molliccia. Andrea dà una sbirciatina, ma non se la sente di toccare. Due, tre, quattro spinte. Ci siamo quasi. La testa scende, mi fa male, ma so che manca poco.

Andrea sostiene che siano bastate otto spinte. Io non lo so. Sono le 08.29 quando il tuo corpicino scivola fuori.Ti vedo, lì tra le mie gambe. Sei’ una bambina. Hai pochi capelli. Sei bellissima. Benvenuta, Arianna.

 

E BENVENUTA CHIARA 

Per venerdì 5 febbraio hanno annunciato neve.

E’ giovedì e ancora non ti sei deciso/a a nascere. Siamo impazienti di conoscerti, ma tu non hai fretta. Ho provato di tutto, dall’olio di ricino alle passeggiate, dall’agopuntura all’omeopatia. Sono diversi giorni che ho un po’ di contrazioni, ma non sono ancora quelle che ti faranno nascere. Così dovrò presentarmi, come stabilito, all’ospedale Civico giovedì sera alle 20.00. Ceniamo a casa con la zia e la nonna e quando è ora di andare piango. L’emozione è forte, so che domani finalmente ti stringerò tra le braccia. Prima di partire tua sorella Arianna ti canta “nasci fratellino, esci sorellina!” e dà tanti baci al pancione: dolcissima sorellona che mi commuove.

Arrivati al Civico mi installo in camera, siamo alla numero 9, nel letto blu, esattamente lo stesso letto dove è nata tua sorella. La stanza è al completo, gli altri due letti sono occupati da due giovani mamme. Io sono tranquilla, col papà aspettiamo che ci portino a fare un monitoraggio.

L’ostetrica ci accompagna presto in una stanzina, mi attacca la flebo, tocca la pancia per sentire la tua posizione e posiziona i sensori per ascoltare il tuo cuoricino. I battiti sono insolitamente alti: l’apparecchio registra picchi oltre i 160 battiti.

L’ostetrica e la dottoressa sono un po’ preoccupate dal tracciato, che non è bellissimo. Così mi portano a fare un’ecografia per vedere come stai e per controllare la quantità di liquido amniotico.

Sembra tu stia comunque piuttosto bene, anche se il liquido non è tantissimo. Mi attaccano ancora i sensori per il monitoraggio e restiamo in attesa di sapere cosa succederà. Decidono di non fare niente fino a domattina. Così posso finalmente andare in camera a dormire. Sono agitata, non mi piace dover indurre il parto e spero segretamente che questa notte parta il travaglio. Sono dilatata di due centimetri. Cerco comunque di dormire per recuperare le forze che mi serviranno per farti nascere e per accudirti.

Arriva il mattino e ancora non si muove niente! Accidenti!

Fuori è tutto bianco, nevica. Verso le 8.00 mi mettono un ovulo, dovrebbe sostenere le contrazioni, che continuano a essere poco efficaci. Faccio colazione, poi l’ovulo iniza a fare effetto e io finalmente sento le contrazioni, che però sono leggere leggere. Mi tengono costantemente attaccata al monitoraggio. La dottoressa ha deciso che non mi metteranno un secondo ovulo: se il travaglio non parte l’appuntamento è per le 13.30 in sala parto dove mi daranno l’ossitocina. La mattinata trascorre tranquilla in attesa. Arriva anche il papà, che forse è più agitato di me.

Alle 13.30 scendiamo in sala parto: stanno facendo le pulizie, le finestre sono spalancate, si gela, c’è rumore e un gran disordine. Ci sistemiamo inizialmente nella sala azzurra, quella in cui è nata Arianna. Siamo in compagnia dell’ostetrica che mi posiziona le fasce per il monitoraggio (ho chiesto di avere quello che permette di muoversi, non ho nessuna intenzione di restare inchiodata al lettino). Appena pronte però l’addetto alle pulizie ci informa che la sala in fondo è pronta. Teoricamente è la sala di riserva, che viene utilizzata solo quando la sala verde e quella azzurra sono già occupate. Mi dicono che ci sistemiamo provvisoriamente lì, poi per il parto ci sposteremo. So che invece nascerai qui. La sala è piccola ma accogliente. Sugli armadietti ci sono incollati degli autoadesivi per bambini. Arriva una nuova ostetrica. Sarà lei ad accompagnarci. E’ giovane e dolce. La ricordo dal giorno in cui è nata Arianna: ci aveva proprio accolte lei in reparto, era di turno di notte.

C’è un problema col monitoraggio: il tracciato è sceso a 50 battiti e l’ostetrica chiama immediatamente il medico. La sento che con tono deciso dice “Un ginecologo in sala parto. Si, subito!”. Io e il papà siamo un po’ spaventati. E’ da ieri che il tuo cuoricino ci fa gli scherzi, ho paura che finiremo col fare un cesareo. Il medico arriva rapidamente, è serio e parla con uno strano accento. E’ accompagnato da una giovane “candidato medico”. Insieme all’ostetrica guarda il tracciato, soffermandosi a lungo sul punto in cui i battiti sono scesi. Lei gli spiega che è stato l’unico momento in cui si è preoccupata, ma il dottore è perplesso e sul suo volto leggiamo preoccupazione. Lui non ci piace, non è affatto rassicurante. Dopo qualche minuto decidono di procedere con l’ossitocina. Guardo l’orologio sopra la porta, sono proprio curiosa di vedere quanto ci vorrà! Sono le 14.31. Ho avvisato l’ostetrica che il mio primo parto è stato molto rapido. Sono dilatata di 3 cm. Le contrazioni partono subito e sono decisamente potenti. Non so come mettermi. Il papà mi fa pressione in fondo alla schiena, così mi allevia un po’ il dolore. Sono sul lettino, mi giro sul fianco. Terribile. Chiedo di provare a mettermi in ginocchio appoggiata al letto. Nemmeno così mi sento meglio. Provo il pallone. L’ostetrica è davvero una stella, mi aiuta, mi porta quello che mi serve, mi propone nuove posizioni. Provo a sedermi sulla sedia maya. Il papà mi sorregge da dietro, ho dei mancamenti, probabilmente è la pressione. Mi danno la mascherina dell’ossigeno. Durante le contrazioni me la spingo forte contro il viso anche se non sento alcun sollievo. Le contrazioni sono toste, ma ho un po’ di tregua tra una e l’altra.

Il dottore e la giovincella continuano imperterriti a fissare il tracciato. Il papà è preoccupato, ma non dice niente.

La sedia maya non è male, è lì che rompo le acque. L’ostetrica mi propone di visitarmi dopo la prossima contrazione, per verificare se effettivamente si è rotto il sacco. Io non sono proprio sicura perché è uscito davvero pochissimo liquido. Dopo qualche minuto però sento la testa.

–          Sento la testa. E’ scesa la testa!

Sentivo la tua testolina spingere, mi sembrava di schiacciartela sullo sgabellino.

–          Dopo la prossima contrazione ti visito, risponde l’ostetrica.

Ho la sensazione che lei non mi creda. E’ passato poco tempo, saranno più o meno le 15.00 e forse lei non crede possibile che mi sia già dilatata completamente.

–          Mi viene da spingere! Insisto.

A fatica mi trasferisco sul lettino. Chiedo di sollevare lo schienale. Posiziono le gambe e mi attacco alle maniglie. Sono pronta.

– Chiamate la dottoressa. Sta per nascere.

Il papà chiede dove abita la dottoressa. Abita vicino, ci impiega solo una manciata di minuti ad arrivare in ospedale. Dentro di noi sappiamo però che non arriverà in tempo nemmeno questa volta.

Il papà dà una sbirciatina e vede la tua testolina.

L’ostetrica mi dice di provare pure a spingere. Spingo, spingo più forte che posso. Ti sento. Mi fa male, ma so che manca pochissimo. Fremo dalla voglia di vederti, di abbracciarti.

Arriva un’altra contrazione e spingo di nuovo. L’ostetrica controlla, mi incoraggia, dice che stiamo andando benissimo. Spingo fortissimo e la testa passa. Continuo a spingere e sento scivolare il tuo corpicino. Credo siano bastate quattro spinte. Sono le 15.19.

–          E’ una bambina!

Il papà libera la tensione e piange. Io sono felice, sorrido e mi appoggio a lui. Tu sei bellissima, ti sbirciamo mentre l’ostetrica e il dottore ti guardano. Arriva anche la dottoressa. Ti fanno i primi test mentre sei ancora lì tra le mie gambe. Stai benissimo. La dottoressa mi aiuta ad espellere la placenta, poi l’ostetrica me la mostra per bene. Sembra un’enorme bistecca di fegato.

Credo che il papà ti abbia tagliato il cordone, ma i miei ricordi sono offuscati dalla gioia della tua nascita.

Ti mettono subito tra le mie braccia, cerchiamo di attaccarti al seno per la tua prima poppata. Sei morbidissima. Bellissima. Con pochi capelli. Restiamo a lungo così, ancora non ti abbiamo né pulita né misurata.

C’è una grande pace e sta ancora nevicando. Benvenuta, Chiara.

 

Gea, collaboratrice esperta RSI

Partorendoti, figlia mia
Mi sono sentita fluida
Quando ho perso le acque
Uno scorrere dai miei meandri arcaici

Mi sono sentita morbida
Nel tempo che passava nitido
Momento dopo momento continuavo a parlarti

Mi sono sentita irrequieta
Con le contrazioni frequenti
E cercavo un modo di aiutarci col dolore

Mi sono sentita respiro
Come arrotolata sulla mia pancia
Accompagnandoti verso l’apertura del corpo

Mi sono sentita protetta
Fra le braccia di tuo papa`
Che ci sosteneva mentre piu` e piu`mi rilassavo

Mi sono sentita pianta
E ho seguito il bisogno di stare in piedi
Per appoggiarmi forte sulla terra

Mi sono sentita determinata
un’energia incontenibile nel mio ventre voleva spingere al’unisono con te nei tuoi passaggi

Mi sono sentita urlo di sollievo e pianto di incredulità` e risata di soddisfazione

Con tre spinte ti sei catapultata fuori verso la luce

“come sei lunga!” e’ la prima cosa che ho detto

mentre tuo papa` piangeva e rideva e piangeva e rideva

“ciao! ciao!  ciao!” ti ripeteva mentre ti guardava palpitare nelle sue mani

Mi sono sentita grata
di aver conosciuto con tanta chiarezza la mia forza di donna
ed aver condiviso la tua nascita nell’intimita` della coppia

quando ci siamo sdraiati insieme
e ti abbiamo adagiata sul mio petto

Mi sono sentita …“amore,
a proposito, e`maschio o femmina?”
ci eravamo completamente dimenticati di questo dettaglio!
Avvolti dallo splendore della tua vita
Siamo stati con te tutto il tempo

E questo era l’importante
Mi sono sentita dire

Gaby, attrice, traduttrice e tanto altro

Dopo la mia prima gravidanza serena e senza problemi mi auguravo un parto che rispettasse questo evento unico e misterioso.

Avevo letto tanto, dai parti in acque gelide in Russia a come si nasceva dagli Aztechi, dalla minestra al pollo cotta 100 giorni per ridare energie alle mamme dopo il parto in Cina, a Mamatoto… Desideravo semplicemente poter essere a casa e ben accompagnata da donne esperte e gentili. Avendo viaggiato e vissuto in cosiddetti paesi in via di sviluppo mi sembrava una cosa fattibile anche per un’europea come me. Purtroppo non avevo né mamma né zie o nonne a disposizione. Allora mi ero messa a cercare persone disposte e adatte per starmi vicine in un momento così speciale e atteso con enorme gioia…(avevo già 37 anni).

Non ci sono riuscita, era 15 anni fa, e mia figlia è nata all’ospedale con un taglio cesareo e con tutto ciò che ne consegue, perché dopo 13 ore di travaglio il medico e il papà non mi ritenevano più capace di partorire, stanchi e stufi d’aspettare.

La bambina è nata bella e sana e così nessuno poté capire perché non stavo bene, né fisicamente né emotivamente. Le punture (si, erano ben tre, finché funzionassero) per l’anestesia epidurale e il taglio sulla pancia mi hanno provocato forti dolori alla schiena, mai avuti prima e che tornano ogni tanto ancora adesso.

Ma la cosa più difficile è che sento una specie di frustrazione di non essere stata capace di dare la vita (argomento molto contestato nel mio entourage), eppure vero per me, che poi tre anni dopo si è ripetuta perché la cicatrice nella parete dell’utero con la dilatazione della seconda gravidanza era diventata troppo sottile, e dunque un secondo taglio cesareo sembrava indicato.

Ho due figli sani e ne sono felice.

“Cosa vuoi di più, di che cosa ti lamenti?” sono i commenti che sento quando oso toccare l’argomento. Ma la mia esperienza è stata deludente ed è difficile da “smaltire”. Spero che parlarne possa almeno essere utile a qualche futura mamma per poter vivere meglio la nascita dei suoi figli, sarà almeno servita a quello.

Sono felice di vedere che le cose anche in Ticino cominciano a cambiare e, se potessi, ricomincerei e farei tutto in modo molto diverso.

Secondo me è importante stare accanto alle donne incinte, proteggerle delle ansie diffuse sui dolori e i pericoli, ridar loro fiducia nell’atto più ancestrale che esista, assistite e accompagnate da donne esperte.

Ripeto, donne, perché non conosco atto più femminile del partorire. E perché, in fondo, i maschi assistendoci non si sentono proprio al loro agio.

Il loro vero ruolo da sempre, mi sembra, è di proteggere il luogo in modo che tutto possa svolgersi nell’intimità in modo pacifico e sereno.

Cornelia, fisioterapista e tanto altro

 

La nostra piccola Luce é sdraiata sul tappeto, intenta a muoversi di qua e di là, cercando di afferrare un qualche suo gioco oppure i suoi piedini che svolazzano nell’aria. Sono già passati cinque mesi dal giorno della sua nascita ma quei momenti così pieni di emozioni e di amore sono indelebilmente presenti nella mia memoria e sono sicura che mi accompagnano con serenità nella crescita di nostra figlia.

Era una sera di fine aprile quando, dopo una visita dalla ginecologa risultata nella norma, iniziai ad avvertire dei piccoli dolorini. Verso fine gravidanza capitava spesso di sentire queste famose “contrazioni preparatorie” quindi decisi di riposare un po’ sul divano in attesa che mio marito rientrasse dal lavoro. Entrambi eravamo pronti al parto seppur mancassero ancora nove giorni alla data del termine. In ogni caso tutto il materiale necessario per la nascita in casa era già al suo posto. Da qualche settimana io entravo e uscivo dalla futura cameretta in attesa di poter tenere fra le braccia mio figlio (a quell’epoca non ne conoscevo il sesso).
Avevo preparato tutto ciò che ritenevo utile insieme alle cose che sarebbero servite alla levatrice in una borsa; la sensazione che avevo in quei giorni era quella di una mamma intenta a preparare il nido per il proprio piccolo, era stupendo.
Il desiderio di partorire in casa era principalmente mio; quasi dall’inizio della gravidanza ero decisa a voler donare al bambino una nascita più naturale possibile. Insieme a mio marito abbiamo così scelto di prendere contatto con una levatrice e passo dopo passo abbiamo intrapreso questo percorso. Non dissi quasi a nessuno di voler partorire a casa; molta gente ci chiedeva in quale ospedale o clinica saremmo andati, ma io non mi sentivo pronta a condividere questa grande decisione con tutti. Mia mamma mi sostenne fin da subito e per me contava solamente il suo parere. Lei stessa aveva partorito quattro figli in modo naturale, ma in ospedale; a quei tempi l’informazione sull’importanza del modo di partorire e di nascere era ancora minore di oggi. A mio parere nessuno meglio di lei avrebbe potuto capirmi ed aiutarmi.
Ritornando alla nostra magica sera, le contrazioni diventarono più frequenti; irradiavano anche la schiena, ma non erano insopportabili. Decidemmo di chiamare la levatrice che mi disse di provare a fare il famoso bagno per valutare se queste contrazioni erano quelle vere o solo di preparazione. Il bagno non fece cessare i dolorini e con mia grande sorpresa, proprio mentre mi alzai per uscire dalla vasca, persi il liquido amniotico direttamente nell’acqua. A quel punto sia io che mio marito diventammo consapevoli che il momento tanto atteso era arrivato.
La levatrice arrivò poco dopo e ci trasferimmo nella nostra camera. I dolori andavano e venivano come delle onde, ma io sentivo di sopportarli benissimo e di far parte di questo mare che mi invadeva sempre di più. Finché circa trenta minuti dopo, iniziai ad avvertire un grande desiderio di spingere e lo comunicai alla lavatrice. Lei sorpresa preferì farmi un controllo e il suo commento fu: “eh si, sei già dilatata a 10 cm, puoi spingere quanto vuoi”. Durante le spinte non sentii più alcun dolore, respiravo e riprendevo forza nelle pause, mentre le due levatrici con la loro professionalità e bravura mi lasciavano tranquilla e libera di fare ciò che volevo. Ricordo con piacere quanto sentissi forte la loro presenza, anche se non le sentivo parlare. Il rapporto instaurato durante tutta la gravidanza mi permise di sentire una grande fiducia in loro.
Mio marito si trovava in sala, non gli avevo mai imposto di essere vicino a me durante il parto; avevamo deciso insieme che ci sarebbe stato solo se glielo avessi chiesto o se lui lo desiderava. In quei momenti le levatrici mi davano il sostegno di cui avevo bisogno. Quando iniziò a comparire la sua testolina con i capelli scuri le levatrici chiamarono il futuro papà il quale si mise dietro di loro per seguire la fase espulsiva del bebè. Da quel momento in due spinte la bimba uscì ed io esplosi in un pianto misto di gioia e sfogo. Quella sensazione stupenda é l’emozione più forte che abbia mai provato in tutta la mia vita. Nel frattempo le levatrici si occuparono della piccola e me la misero subito sul ventre. Per la prima volta i nostri occhi si incontrarono ed io m’innamorai di lei, era così calda, morbida e bella. Le proposi subito il mio seno e lei afferrò il capezzolo come se lo conoscesse da sempre. Ho tuttora nitida l’immagine di noi tre felicemente insieme. Dopo circa mezz’ora ci fu l’espulsione della placenta, il papà allora tagliò il cordone ombelicale. Il compito di seppellire la placenta toccava a lui, decidemmo di metterla vicino a casa, sotto l’albero dove andavo a rilassarmi durante la gravidanza.

Così è venuta al mondo la nostra piccola Luce e noi serbiamo nel cuore questi momenti come i più sereni e importanti. Speriamo che la nostra testimonianza possa aiutare futuri genitori a capire che il parto in casa è qualche cosa di possibile, nonostante la gente comune e i medici ne parlino poco. La casa è il posto  più tranquillo e intimo di ogni persona. Noi abbiamo scelto questo luogo come nido per dare al mondo la nostra bambina e tuttora siamo convinti che sia stata la scelta migliore sia per noi che per lei.

Luana, infermiera

È la sera del 30 aprile, un lunedì. Il mio compagno Fabio e io siamo tranquilli, il giorno dopo è il 1° maggio, è festa e avremo la possibilità di riposarci un po’ insieme, aspettando il grande evento.

Ho superato il termine da tre giorni, è strano, ho sempre pensato che sarebbe successo prima, certamente non dopo. Non sono agitata ma non vedo l’ora che il bimbo nasca, non vedo l’ora del momento del parto, ho voglia di scoprire questa cosa che non conosco, ho voglia di scoprire se sarà come cento volte l’ho immaginato. Sono forse un po’ preoccupata perché al monitoraggio di stamattina la dottoressa mi ha fatto presente che la placenta è già un po’ invecchiata e il liquido amniotico al limite inferiore della « normalità ». Vuole rivedermi mercoledì mattina e poi si deciderà sul da farsi. Ho paura di questa decisione, ci tengo così tanto a poter stare a casa, nell’intimità della nostra casa e mi spaventa l’idea che tutto quello che desideriamo venga sostituito da un parto indotto in ospedale. Anche se la levatrice mi ha tranquillizzata dicendomi che i medici sono sempre un po’ troppo precisi nelle loro valutazioni, l’eventualità di questa possibilità mi fa sperare nell’inizio del travaglio il più presto possibile.

Sul divano ci rilassiamo e ci coccoliamo, Fabio mi fa un po’ di fotografie alla pancia, ridiamo : è davvero gigantesca! Chissà come sarà grande e forte questo pulcino quando deciderà di uscire. Ho di nuovo una fitta all’utero, lunga e dolorosa, come ho già avuto spesso negli ultimi giorni, quindi aspetto che passi e cerco di non illudermi che sia il segnale dell’inizio del travaglio. Un’ora dopo ne arriva una seconda, ma penso che è davvero troppo lunga e irregolare per essere una vera contrazione. Poi più nulla. Ce ne andiamo a letto, una strana sensazione comincia a farsi strada ma cerco di non pensarci, non voglio illudermi che questa sarà la grande notte e poi rimanerci un po’ male se invece non succede niente. Ci addormentiamo, ma come sempre ultimamente mi sveglio per andare in bagno. Sono circa le 2.00.

Anche Fabio non sta dormendo e quando nella mia pancia si sente un rumore di strappo, o di schiocco, una specie di « tak », lo sente anche lui. Ci guardiamo per un istante ma non succede niente. Mi alzo assonnata per andare in bagno e quando mi siedo qualcosa comincia a scorrere, qualcosa di solido si stacca. Mi alzo, guardo e vedo il tappo mucoso, chiamo Fabio e grido « ci siamo » ! Il liquido dopo un po’ si ferma. Decidiamo di chiamare la levatrice, anche se non mi pare di aver avuto ancora delle vere contrazioni, giusto per avvertirla. Lei ci consiglia di provare a dormire ancora un po’ e di aspettare sereni l’inizio del travaglio, meglio recuperare un po’ di forze per il grande lavoro che ci aspetta. Restiamo d’accordo che l’avremmo chiamata quando le contrazioni sarebbero state ogni cinque minuti circa e regolari. Proviamo a rimetterci a letto ma, ci chiediamo, come si fa a dormire sapendo che fra non molto avremmo conosciuto il nostro bimbo? Decidiamo quindi di preparare la casa per il parto, armeggiamo con mollettoni, traverse e altro per proteggere letto e divano, accendiamo le candele e mettiamo nel fornellino brucia essenze l’olio essenziale. Mentre cammino in corridoio una grande quantità di liquido amniotico esce dalla mia pancia ; è una situazione che ha un ché di comico : io rido di gioia, Fabio mi corre dietro con la carta assorbente e  il nostro micio, vuole leccare il liquido sul pavimento. Un piccolo momento di caos e ilarità. Intanto comincio a sentire le contrazioni più forti, sono ancora molto indefinite e non riesco a capire ogni quanto arrivano, so solo che durano tantissimo e penso ancora che non sono quelle vere. Fabio mi prepara un bagno caldo, al buio, solo con la luce delle candele. Non riesco a sopportare la luce elettrica, mi riporta in una realtà che invece sento di dover abbandonare… Prende la poltrona e si mette accanto alla vasca. Intanto le contrazioni si fanno sempre più regolari e ravvicinate, io ho ormai perso la cognizione del tempo e comincio a cantare le vocali. Non lo decido, escono per conto loro, spontanee e vibranti, mi aiutano con il respiro. Sto bene, scivolo in un’altra dimensione sempre di più ma posso ancora tornare indietro se voglio, con la mente, e comunicare con Fabio. All’improvviso, nel giro di quello che mi sembra davvero poco tempo, ci rendiamo conto che tra una contrazione e l’altra passano solo 2 minuti e mezzo. Penso che è il momento di uscire dalla vasca e Fabio mi aiuta ad infilarmi la camicia da notte. Non ho la più pallida idea di che ore si sono fatte ma decidiamo di chiamare di nuovo la levatrice. Le spieghiamo la situazione e lei ci risponde che si sarebbe preparata e sarebbe arrivata. Da questo momento io non esisto più come corpo, come individuo in questo tempo e questo luogo. Non ho più bisogno della vista né di prendere delle decisioni, tutto va da sé, qualcosa prende il sopravvento sulla mia volontà. Le vocali acquistano potenza, non sono io ad emetterle, ma una forza che comprende tutto, me, il bambino, Fabio, la casa, il mondo, l’universo. Anche il dolore si fa intenso ma scorre fuori assieme alla mia voce. Sento il bisogno di muovermi, di camminare. Mi spoglio completamente, mi sento incastrata nei vestiti. Riprendo a camminare, avanti e indietro, e quando la contrazione è davvero forte mi lascio cadere sulle ginocchia. A volte comincio a percepire di dover spingere, una sensazione stranissima, che non posso contrastare in nessun modo con la volontà. Capisco che l’unica cosa che posso, che voglio fare è lasciarmi andare e farmi guidare dal piccolo e dal mio corpo. Posso sentire che Fabio è sempre accanto a me e gliene sono silenziosamente ma immensamente grata. È come se esistessimo solo noi tre. Quando la levatrice arriva me ne accorgo appena, ma posso sentire la sua calma e la sua tranquillità, mi fa sentire bene, sono felice che lei sia qui con noi. Mi chiede se può visitarmi tra una contrazione e l’altra e io riesco a stendermi sul letto. Mi dice che sono già a dilatazione completa e che, se lo sento, posso tranquillamente cominciare a spingere. Lei avrebbe chiamato la seconda levatrice che poco dopo arriva, ma io non la vedo subito, non vedo più niente, sono emozione pura, in connessione con il mio corpo, ascolto il mio bambino che vuole nascere, i suoi movimenti, la forza e il coraggio che anche lui ci sta mettendo. Sento però che sono entrambe presenti e osservano, angeli custodi, così calme e pazienti, mi lasciano fare, al nostro ritmo e secondo il nostro modo di essere. Mi trasmettono forza e fiducia.

Ad un certo punto smetto di camminare, mi fermo in corridoio, proprio davanti alla porta della camera, mi appoggio con la testa e le braccia sul mobile davanti a me e all’arrivo della contrazione comincio a spingere per poi sprofondare di nuovo, nelle pause, in un luogo allo stesso tempo interiore e infinito. Nelle pause mi sento cantare, sussurrare e muovere, ma di nuovo non sono io a deciderlo. Fabio e le levatrici mi sostengono e mi spronano, mi dicono che manca poco e che ce la farò, che sono forte. Comincio però a sentirmi a tratti esausta e quando mi lascio andare a questa sensazione il dolore si fa molto forte e io dico loro che non ce la faccio. Subito mi riprendo però, lo so anche io che non è possibile che non ce la faccio, ce la faccio sicuramente, perché lo voglio e perché devo aiutare il mio bambino, che da solo non ce la può fare. Questo pensiero mi aiuta tantissimo, lo voglio tenere stretto ma a volte scivola via. Mi dicono che si vedono i capelli e posso sentire dal tono emozionato delle loro voci che è davvero così. Riprendo le forze. Non so perché ho scelto proprio quel posto e quella posizione, ma per le levatrici accovacciate per terra e per Fabio che vuole restarmi vicino è davvero scomodo, stretto e senza possibilità di movimento, così una levatrice mi chiede se non voglio spostarmi sul letto. Dico di si e loro mi aiutano. Sul letto sento la necessità di riprendere la posizione di prima per poter continuare a spingere. Le pause si fanno sempre più lunghe, minuti durante i quali sprofondo in un rilassamento quasi totale, ho bisogno di quel tempo per riacquistare le forze, altrimenti non ce la posso fare. E il piccolo lo sente e mi regala questo tempo prezioso. Poi la sento la sua testolina, la sento uscire per un momento, ma la contrazione passa e la sento rientrare. Mi sento allo stesso tempo emozionata e scoraggiata, per un paio di volte esce e rientra subito dopo. Sento la mia voce dire “no, no, non rientrare, ti prego, non rientrare” ma non riesco ancora a spingerla fuori del tutto.

In quest’attimo, proprio prima della nascita, credo davvero di non farcela più, ma il mio compagno e le levatrici mi aiutano, mi ricordano più volte che sono forte e che manca davvero poco, molto poco. Sento bruciare. So che basta un ultimo sforzo perché il piccolo possa nascere, ma senza la contrazione non riesco a spingere. Ad un certo punto la testa rimane fuori e, penso perché ho davvero bisogno di un ultimo incoraggiamento, grido “non ce la faccio” e subito dopo un’ultima potente contrazione mi permette di raccogliere tutta la forza che mi è rimasta e spingere, spingere, spingere. Sento il suo corpo scivolare fuori, in armonia con le mie spinte, una sensazione meravigliosa, indescrivibile. E poi la sua vocina e Fabio che mi dice che è una femminuccia.

Quante emozioni, quanto amore, quanta forza.

Benvenuta piccola Agata a questo mondo, mamma e papà ti amano già alla follia. Tutto il dolore e la stanchezza spariscono come per magia, mi giro, la accolgo sul mio petto e i suoi occhioni incrociano i miei, così profondi e consapevoli, il primo incontro… Il tempo si è fermato e in quell’istante ho potuto vedere l’immensità della vita.

Sono le 8.34 di mattina, le candele sono ancora accese, i primi raggi di sole entrano dalla finestra. Non dimenticheremo mai questa notte speciale, l’esperienza più immensa della mia vita.

Agata pesa 3,750 grammi e è lunga 53 centimetri. Ed è bellissima, un vero miracolo.

Una volta che ha smesso di pulsare e che tutti eravamo tranquilli, Fabio ha tagliato il cordone ombelicale. Subito dopo sono tornate le contrazioni ed è nata anche la placenta.

Di nuovo il tempo ha smesso di avere un significato e abbiamo potuto perderci tutti e tre ognuno nell’altro, cominciare a conoscerci e scoprirci, lasciando in sospeso questa magia e tutte le emozioni accumulate fino a quel momento.

Tamara, filmmaker & photographer

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